Prima puntata
Quello che cercherò di fare in queste quattro puntate, è il resoconto di un dualismo vecchio come il mondo. È la storia di un parallelo che vede da una parte dolcezza e curiosità, desiderio e sensualità e quindi, a tutti gli effetti , un’offerta d’amore. Un amore contrastato però, spesso intorbidito dalle morali predominanti, a tratti ostacolato dall’ignoranza, dove l’ignoranza fa da lievito alla paura e dove spesso la paura genera violenza. L’offerta che ci viene da una donna conscia della propria intelligenza, delle proprie capacità, della propria femminilità e, per dirla con una parola, consapevole della propria libertà e decisa a tutto pur di non perderla.
Sull’altro binario di questo parallelo corre una sfida rappresentata dalla lotta interiore che un uomo ingaggia tra il desiderio di beneficiare di quella libertà, e della sensualità insita in essa e il disagio, a tratti la paura, che proprio quella libertà, in quanto noncurante dello storico predominio maschilista, generano in lui. Una sfida, diciamolo, quasi sempre persa.
È una storia vecchia di millenni che si genera direttamente dal culto primordiale della Dea Madre e che produce le figure femminili più rappresentative presenti già nelle più antiche credenze religiose. Dalla Durga venerata dagli Hindu, all’Ishtar sumera, dalla Shing-Moo cinese alla Sheela della tradizione celtica, dall’Ashera del pantheon ebreo fino alla Maria di Magdala del Nuovo Testamento, è tutto un fiorire di figure femminili che incarnano la duplice valenza di colei che “a tutti può darsi, ma a nessuno appartiene”.
Ed allo stesso modo è antica la reazione, spesso violenta, che questa riaffermazione femminile di libertà, con la valenza di destabilizzazione sociale che incarna, ha provocato. Basti pensare, per restare alla mitologia greca, alla reazione scatenata da Menelao quando Elena lo tradisce e fugge con Paride, il principe di Troia.
Ma più vicina ai nostri tempi e tuttaltro che mitologica è la Santa Inquisizione, che nel corso dei secoli ha visto migliaia di donne mandate al rogo, ree unicamente di non volersi piegare ai dettami della morale corrente e consolidata oppure di essere sole e benestanti e quindi vittime della cupidigia delle autorità ecclesiastiche che alla condanna facevano seguire il sequestro dei loro beni terreni. E poi è storia di oggi, con gli infiniti e spesso sconosciuti casi di discriminazione e spesso di violenza sulle donne che vengono commessi sotto ogni latitudine, sotto ogni credo religioso e sotto ogni regime politico.
Ebbene, raccontiamolo con le canzoni questo dualismo! Con quattro canzoni che nell’arco di 50 anni di storia della musica leggera italiana, ci hanno offerto, tra le altre, quattro distinte figure femminili, descrivendocene i lati salienti sia caratteriali che comportamentali, sia il loro comune denominatore: la loro libertà di essere.
È una storia vecchia di millenni che si genera direttamente dal culto primordiale della Dea Madre e che produce le figure femminili più rappresentative presenti già nelle più antiche credenze religiose. Dalla Durga venerata dagli Hindu, all’Ishtar sumera, dalla Shing-Moo cinese alla Sheela della tradizione celtica, dall’Ashera del pantheon ebreo fino alla Maria di Magdala del Nuovo Testamento, è tutto un fiorire di figure femminili che incarnano la duplice valenza di colei che “a tutti può darsi, ma a nessuno appartiene”.
Ed allo stesso modo è antica la reazione, spesso violenta, che questa riaffermazione femminile di libertà, con la valenza di destabilizzazione sociale che incarna, ha provocato. Basti pensare, per restare alla mitologia greca, alla reazione scatenata da Menelao quando Elena lo tradisce e fugge con Paride, il principe di Troia.
Ma più vicina ai nostri tempi e tuttaltro che mitologica è la Santa Inquisizione, che nel corso dei secoli ha visto migliaia di donne mandate al rogo, ree unicamente di non volersi piegare ai dettami della morale corrente e consolidata oppure di essere sole e benestanti e quindi vittime della cupidigia delle autorità ecclesiastiche che alla condanna facevano seguire il sequestro dei loro beni terreni. E poi è storia di oggi, con gli infiniti e spesso sconosciuti casi di discriminazione e spesso di violenza sulle donne che vengono commessi sotto ogni latitudine, sotto ogni credo religioso e sotto ogni regime politico.
Ebbene, raccontiamolo con le canzoni questo dualismo! Con quattro canzoni che nell’arco di 50 anni di storia della musica leggera italiana, ci hanno offerto, tra le altre, quattro distinte figure femminili, descrivendocene i lati salienti sia caratteriali che comportamentali, sia il loro comune denominatore: la loro libertà di essere.
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La prima canzone che vi propongo è un classico della canzone napoletana e si intitola Malafemmena.
Malafemmena è una parola del dialetto napoletano che anche quando viene italianizzato in malafemmina, non perde il suo significato originale, cioè prostituta. Malafemmena è solo un termine meno volgare, meno crudo, coniato tanto per poterlo pronunciare in pubblico. La canzone fu scritta da Antonio de Curtis, il grande Totò, nel 1951. Inizialmente si credette che essa fosse stata dedicata all’attrice Silvana Pampanini, che Totò aveva conosciuto sul set di un film. In realtà essa era dedicata alla moglie Diana, per rimproverarla di non aver tenuto fede all’impegno preso di restare in casa, pur se ormai separati, fino al compimento del 18mo anno di età della figlia Liliana.
Il brano, scritto in dialetto napoletano, parla in termini drammatici di un amore contrastato per una malafemmina. Termine che in questo caso assume il significato di donna affascinante e che fa soffrire, indifferente alle pene d’amore che infligge al proprio innamorato.
Nella canzone c’è la Napoli dei guappi, delle sciantose, delle belle donne, della poesia melanconica che filtra attraverso l’analisi del sentimento amoroso e del dissidio di un amante che tradito, rifiuta la sua bella e la guarda allontanarsi con occhi ingiuriosi ma anche supplicanti. La malafemmena di Totò non è dunque una donna che concede i suoi favori a destra e a manca ma è un’ingannatrice, una donna inaffidabile. Innumerevoli le interpretazioni: da Sergio Bruni a Renato Carosone, da Roberto Murolo a Mario Merola passando per Giuseppe Di Stefano, Claudio Villa, Luciano Tajoli, Renzo Arbore, Massimo Ranieri e fino a giungere ai vari Lucio Dalla, Enzo Jannacci, Gino Paoli, e senza tralasciare alcune memorabili interpretazioni femminili come quelle di Mina, di Gabriella Ferri, di Patty Pravo, di Lina Sastri, in questo brano tanto celebre si delinea il riscatto della donna, del potere sessuale che essa esercita sull’uomo, con il suo fare ammaliante e distruttivo.
Danilo Sidari - 2011
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