Wednesday, March 30, 2011

ETERNA LUNA

Quarta ed ultima puntata

Nel 1996 esce l’album  “Nessun pericolo…per te” di Vasco Rossi  che contiene la canzone Sally. Un brano struggente che in una escursione di qualche minuto riesce a darci un quadro completo della vita vissuta e delle emozioni di una donna a cui la vita ha regalato parecchie amarezze e che quindi guarda con pacata noncuranza al suo presente di donna matura. Alla fine della canzone però la protagonista ha un guizzo di speranza nel futuro che le viene dalla constatazione che anche gli errori commessi sono serviti, che non è tutto sbagliato, che forse qualcosa s’è salvato. In una intervista rilasciata al solito Vincenzo Mollica, Vasco Rossi parla di un incontro avvenuto con una donna in una località balneare del sud della Francia. Una donna non più giovanissima che non si lascia più  travolgere dalle illusioni ed è più cosciente della realtà. Se ne può dedurre che a seguito della conversazione avuta con questa signora, Vasco Rossi abbia colto e tratto ispirazione da questa figura femminile che ripensa alla sua vita, alle sue scelte sbagliate, agli errori che ha commesso, al dolore che ha subito per colpa di altri. Nella parte finale però, sia per un collaudato approccio compositivo che  prospetta un finale meno cupo e deprimente, sia per una precisa scelta filosofica che appartiene a Vasco Rossi, la protagonista della canzone riesce a trovare dentro di sé la forza per andare avanti, per fare anche dei suoi errori una lezione di vita.                                                                              La canzone ha comunque avuto diverse interpretazioni: in una di queste Sally è una drogata, che per comprare dosi di droga si prostituisce. Le fragole del verso "e si potevano mangiare anche le fragole" starebbero ad indicare la droga, mentre “il fare la guerra” non sarebbe una guerra fisica, ma una guerra contro la dipendenza dalla droga. Una ragazza che vive la vita tristemente, cammina per strada senza guardare davanti, cioè davanti a sé non vede nulla e non ha più voglia di reagire contro la sua staticità. Ricorda un amore finito, e successivamente il ricordo si sbiadisce e la sua vita ora è più difficile,  si deprime per la sua vita passata, per la solitudine che l’ha accompagnata per tutto il tempo, senza potersi sfogare con nessuno perché nessuno potrebbe capire il suo stato d’animo. Il suo rumore preferito è la pioggia, perché rispecchia il suo umore e trova conforto e comprensione in essa.  Un’altra interpretazione ci propone Sally come una ragazza di Sarajevo, con la guerra che le ha tolto tutto e da cui fugge per poi, alla fine delle ostilità, intraprendere questo ipotetico viaggio verso casa che diventa un po’ il viaggio della vita. Alla fine Sally si rende conto che forse la vita non è finita che non è stato tutto perso, che quello che è successo purtroppo non si può cambiare e che anche dal male che si subisce bisogna trarre insegnamento.


http://www.youtube.com/watch?v=ID-mR--oQSE


Personalmente, e aldilá delle facili suggestioni dettate nel primo caso da passate esperienze giudiziarie del cantautore e nel secondo caso dal periodo in cui il brano fu composto, penso che la prima interpretazione sia quella più verosimile. Intanto perché è in qualche modo confermata dall’intervista a cui ho accennato prima e poi perché nelle sue canzoni Vasco Rossi, pur non disdegnando accenni precisi a problematiche sociali, ha sempre preferito presentare i suoi personaggi, soprattutto quelli femminili, sotto un aspetto più specificamente intimista.

Danilo Sidari - 2011

ETERNA LUNA

Terza puntata

Anche volendolo fare molto succintamente, non è proprio possibile per motivi di tempo, ripercorrere quel grande dramma storico, vissuto soprattutto al femminile, che fu l’Inquisizione. Troppe le connotazioni di ordine socio-politico e religioso che lo contraddistinsero e che andrebbero discusse. Mi limito quindi a farne cenno in questo contesto in cui voglio presentare una determinata figura femminile. E quella della cosiddetta strega è forse l’immagine più suggestiva, più fortemente radicata nell’immaginario collettivo popolare. Ma la Storia non è fatta di suggestioni più o meno paurose, “la Storia siamo noi” diceva De Gregori in una sua canzone; la Storia è fatta di persone e in questo caso di donne; e la cosiddetta strega è una donna che quasi sempre si ribella alla morale consolidata, che non rinuncia alle proprie scelte e che in molti casi queste scelte finisce con il pagarle con la vita.  
Tra i tanti episodi di processi per stregoneria, ne ho scelto uno in particolare, quello di Nogaredo del 1646, in quanto esso è narrato magistralmente in musica da Ivano Fossati nella canzone Lunario di Settembre del 1990.  La vicenda ha inizio a Nogaredo, nei pressi di Trento, il 24 novembre del 1646, data in cui Maria, nota con il soprannome di Mercuria, viene accusata di stregoneria per aver aiutato ad abortire una ricca donna del paese, la marchesa Bevilacqua. Un po’ per dissapori personali ma soprattutto per porre fine allo strazio della tortura fisica, Mercuria addita Domenica Chemelli e sua figlia Lucia di esser anche loro colpevoli. E’ l’inizio di una catena di accuse e di conseguenti interrogatori che allo scopo di ottenere le confessioni, vengono condotti anche torturando atrocemente le indiziate. Il processo dura  un anno e a nulla valgono le difese degli avvocati delle donne, il fatto che il Cancelliere era tirato direttamente nel processo per giudicare le donne che avrebbero ucciso sua  figlia e sua moglie, che le accuse iniziali erano mosse da chiara diffamazione tra donne che si accusavan l’un l’altra pur di salvarsi, che molte delle testimonianze furono suggerite dagli inquisitori durante le torture, che i medici affermarono che i molti “marchi del diavolo” ritrovati sui corpi delle giovani durante gli interrogatori ove venivano denudate e rasate completamente per scrutarne le parti più intime e segrete erano di origine naturale, e che, come si legge dagli atti della difesa “…se ad aprir una inquisizion criminale ponno bastare indizi ancor lievi, per carcerare se ne richiedono di fondati, per tormentare di urgenti, per condannare di chiari come la luce del sole…”.  Il 14 Aprile 1647 la sentenza venne eseguita dal boia Ludovico Oberdorfer di Merano: Domenica Chemella, Lucia Cadaven, Domenica, Isabetta e Polonia Graziadei, Caterina Baroni, Ginevra Chemola e Valentina Andrei, furono condannate alla decapitazione e al rogo dei loro corpi tenuta in località Giare e alla quale dovette assistere tutta la popolazione, pena un'ammenda di 25 ducati. I beni delle donne furono confiscati.


http://www.youtube.com/watch?v=TnPnoeAmvKI

Danilo Sidari - 2011

ETERNA LUNA

Seconda puntata

Oggi vi propongo una delle canzoni più famose del cantautore genovese Fabrizio De Andrè, cioè Bocca di rosa.
In un intervista che De Andrè rilasciò a Vincenzo Mollica, egli dichiarò che Bocca di rosa era la canzone che gli era più cara ed era più vicina al suo modo di essere.
Il brano, uscito in 45 giri all’inizio degli anni ’60, racconta la vicenda di una donna forestiera che con il suo atteggiamento passionale e libertino sconvolge la quiete di un paesino di provincia. L’autore prende di mira la mentalità perbenista e bigotta della popolazione che non tollera la condotta di Bocca di rosa e che infine la fa espellere dal paese dalle forze dell’ordine. Il testo è sprezzante con le donne cornificate, “le cagnette a cui aveva sottratto l’osso”,  in contrapposizione negativa alla figura di Bocca di rosa che invece “metteva l’amore sopra ogni cosa”.
A testimoniare quanto questa canzone sia entrata nell’immaginario collettivo va detto che l’espressione “bocca di rosa” è entrata nel linguaggio comune come eufemismo di prostituta. Ma l’accezione è erronea in quanto la donna non faceva l’amore “per professione” ma “lo faceva per passione”.
Alla forzata partenza di Bocca di rosa assistono tutti gli uomini del paesello che vogliono salutare “chi per un poco portò l’amore nel paese”. Ma alla tristezza di quell’addio si contrappone la festa dell’arrivo alla stazione successiva, dove la donna viene accolta trionfalmente e addirittura voluta dal parroco in processione.

 


Da un punto di vista simbolico, Bocca di rosa fa una sua rivoluzione privata disobbedendo alle leggi del branco e attuando questa rivoluzione di costumi attraverso il mezzo della forza dirompente della sensualità.
La corporalità e la sessualità sono viste come portatrici di impulsi irrazionali e per questo difficilmente controllabili dal potere. Ed è per questo motivo che il potere stesso provvede a far togliere il disturbo a Bocca di rosa. Questo non basta però a sconfiggere l’amore di quella donna che, come abbiamo visto, viene accolta festosamente nel paesino successivo e addirittura, con un parallelo tra “amore sacro e amor profano” portata in processione a fianco del parroco.
Per una comprensione esaustiva della canzone bisogna inoltre inserirla nel contesto storico in cui fu scritta cioè all’inizio degli anni ’60, l’Italia in pieno boom economico, gli uomini visti come potenziali “clienti”, i flussi migratori, i blue-jeans, le minigonne in contrapposizione al cambiamento del costume popolare pressoché inesistente o lentissimo. Basti pensare al fatto che fino alla fine degli anni ’60 l’adulterio commesso dalla moglie era punito meno gravemente di quello commesso dal marito, ergo giuridicamente la donna godeva di minor considerazione. Basti pensare che solo all’inizio degli anni ’80 è  sparito dal codice penale il cosiddetto “delitto d’onore”. Basti pensare, infine, al significato che veniva dato al “comune senso del pudore” in quegli anni, al rapporto tra il sesso e la procreazione, alle polemiche suscitate dall’introduzione dell’uso degli anticoncezionali. Sembra, a sentire certe voci di oggi, che le cose non siano cambiate poi molto.

Danilo Sidari - 2011

ETERNA LUNA

Prima puntata

Quello che cercherò di fare in queste quattro puntate, è il resoconto di un dualismo vecchio come il mondo. È la storia di un parallelo che vede da una parte dolcezza  e curiosità,  desiderio e sensualità e quindi, a tutti gli effetti , un’offerta d’amore. Un amore contrastato però, spesso intorbidito dalle morali predominanti, a tratti ostacolato dall’ignoranza, dove l’ignoranza fa da lievito alla paura e dove spesso la paura genera  violenza. L’offerta che ci viene da una donna conscia della propria intelligenza, delle proprie capacità, della propria femminilità e, per dirla con una parola, consapevole della propria libertà e decisa a tutto pur di non perderla.
Sull’altro binario di questo parallelo corre una sfida rappresentata dalla lotta interiore che un uomo ingaggia tra il desiderio di beneficiare di quella libertà, e della sensualità insita in essa e il disagio, a tratti la paura, che proprio quella libertà, in quanto noncurante dello storico predominio maschilista, generano in lui. Una sfida, diciamolo, quasi sempre persa.
È una storia vecchia di millenni che si genera direttamente dal culto primordiale della Dea Madre e che produce le figure femminili più rappresentative presenti già nelle più antiche credenze religiose. Dalla Durga venerata dagli Hindu, all’Ishtar sumera, dalla Shing-Moo cinese alla Sheela della tradizione celtica, dall’Ashera del pantheon ebreo fino alla Maria di Magdala del Nuovo Testamento, è tutto un fiorire di figure femminili che incarnano la duplice valenza di colei che “a tutti può darsi, ma a nessuno appartiene”.
Ed allo stesso modo è antica la reazione, spesso violenta, che questa riaffermazione femminile di libertà, con la valenza di destabilizzazione sociale che incarna, ha provocato. Basti pensare, per restare alla mitologia greca, alla reazione scatenata da Menelao quando Elena lo tradisce e fugge con Paride, il principe di Troia.
Ma più vicina ai nostri tempi e tuttaltro che mitologica è la Santa Inquisizione, che  nel corso dei secoli ha visto migliaia di donne mandate al rogo, ree unicamente di non volersi piegare ai dettami della morale corrente e consolidata oppure di essere sole e benestanti e quindi vittime della cupidigia delle autorità ecclesiastiche che alla condanna facevano seguire il sequestro dei loro beni terreni. E poi è storia di oggi, con gli infiniti e spesso sconosciuti casi di discriminazione e spesso di violenza sulle donne che vengono commessi sotto ogni latitudine, sotto ogni credo religioso e sotto ogni regime politico.  
Ebbene, raccontiamolo con le canzoni questo dualismo! Con quattro canzoni che nell’arco di 50 anni di storia della musica leggera italiana, ci hanno offerto, tra le altre, quattro distinte figure femminili, descrivendocene i lati salienti sia caratteriali che comportamentali, sia il loro comune denominatore: la loro libertà di essere.

 
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La prima canzone che vi propongo è un classico della canzone napoletana e si intitola Malafemmena.
Malafemmena è una parola del dialetto napoletano che anche quando viene italianizzato in malafemmina, non perde il suo significato originale, cioè prostituta. Malafemmena è solo un termine meno volgare, meno crudo, coniato tanto per poterlo pronunciare in pubblico. La canzone fu scritta da Antonio de Curtis, il grande Totò, nel 1951. Inizialmente si credette che essa fosse stata dedicata all’attrice Silvana Pampanini, che Totò aveva conosciuto sul set di un film. In realtà essa era dedicata alla moglie Diana, per rimproverarla di non aver tenuto fede all’impegno preso di restare in casa, pur se ormai separati, fino al compimento del 18mo anno di età della figlia Liliana.
Il brano, scritto in dialetto napoletano, parla in termini drammatici di un amore contrastato per una malafemmina. Termine che in questo caso assume il significato di donna affascinante e che fa soffrire, indifferente alle pene d’amore che infligge al proprio innamorato.

 



Nella canzone c’è la Napoli dei guappi, delle sciantose, delle belle donne, della poesia melanconica che filtra attraverso l’analisi del sentimento amoroso e del dissidio di un amante che tradito, rifiuta la sua bella e la guarda allontanarsi con occhi ingiuriosi ma anche supplicanti. La malafemmena di Totò non è dunque una donna che concede i suoi favori a destra e a manca ma è un’ingannatrice, una donna inaffidabile. Innumerevoli le interpretazioni: da Sergio Bruni a Renato Carosone, da Roberto Murolo a Mario Merola passando per Giuseppe Di Stefano, Claudio Villa, Luciano Tajoli, Renzo Arbore, Massimo Ranieri e fino a giungere ai vari Lucio Dalla, Enzo Jannacci, Gino Paoli, e senza tralasciare alcune memorabili interpretazioni femminili come quelle di Mina, di Gabriella Ferri, di Patty Pravo, di Lina Sastri, in questo brano tanto celebre si delinea il riscatto della donna, del potere sessuale che essa esercita sull’uomo, con il suo fare ammaliante e distruttivo.

Danilo Sidari - 2011

Friday, March 11, 2011

SE ME LO DICEVI PRIMA



A vent’anni confondi
sangue e ignote alchimie.
Ma col flusso dei giorni
e se il sangue ha spurgato a dovere
quando infine il tempo ti stringe
quando ormai ti sei fatto due conti
non ti resta che attendere.
E lui viene, eccome se viene:
l’Amore!
E compagno rimane
fino all’ultimo fiato.


1
Bastiano Carena si trascina barcollando verso la baracca di lamiera ondulata eretta al bordo di una piccola radura erbosa orlata di eucalipti. La fragile costruzione, rifugio ormai in disuso dei tagliatori di canna da zucchero della prima metà del secolo scorso, è l’unico riparo che può permettersi con le sue attuali entrate, cioè l’assegno di disoccupazione del Centrelink.
La notte del subtropico, silenziosa e stellata, ha portato ben poco refrigerio ad una giornata da girone dantesco: la temperatura è ancora alta e l’umidità è tale da farlo sudare ad ogni minimo movimento.
Il suo respirare asmatico, dovuto alle numerose sigarette fumate, produce una combinazione di sibili assortiti. Il suo alito riporta alla mente quelle cantine italiane di una volta, dove l’odore della grappa che vi veniva distillata abusivamente permeava tutto l’ambiente. La testa gli sembra una trottola e un bruciore allo stomaco malevolo e tenace, accompagnato da sporadici conati di vomito trattenuti a stento, fanno presagire una nottata tutt’altro che tranquilla.
Finalmente raggiunge il fragile riparo ed entra. Con un ultimo sforzo chiude la porticina di assi di legno e infine crolla esausto, senza spogliarsi, sulla branda cigolante.
John Gummingarr, il vecchio aborigeno che vive nella baracca che sorge all’altra estremità della radura
- un centinaio di metri - ha osservato la scena dall’unica finestrella della sua abitazione scuotendo la testa.
La piccola costruzione è tenuamente illuminata dalla luce di un paio di candele che a malapena rischiarano la piccola stanzetta. Il vecchio sta rollando una sigaretta di trinciato Virginia mentre tra i pochi denti rimastigli in bocca biascica nel suo dialetto Baryulgal una vecchia nenia triste.
Quella a cui ha assistito è una scena che si ripete identica quasi tutte le sere da qualche mese a questa parte. 
- Se continua così si ammazza. Una di  queste sere gli vado a parlare.
- E cosa pensi di risolvere, tu – le chiede Sheela, la donna che divide con lui l’esistenza da quarantasette anni. La sua voce ha un tono insolitamente dolce.
- Non mi aspetto di risolvere niente, ma vedi amore mio, sento di dovergli ricordare che la vita è un dono prezioso, visto che lui sembra essersene dimenticato. Tutte le sere torna a casa ubriaco. Quanti anni avrà, secondo te?
-  E cosa può avere? Quarantacinque, cinquant’anni! Tu ne hai quasi settantaquattro e le cose le vedi in maniera diversa.
- Lo so cosa intendi! Ma certe cose si imparano presto. O almeno bisognerebbe...
- Appunto bisognerebbe – lo interrompe lei – ma non tutti seguono lo stesso viottolo, come ben sai. E poi, nella vita possono succedere tante cose!
- E sentiamo, donna, secondo te cosa gli è successo?
- Le mie sono solo suggestioni se vuoi, ma ieri, proprio qui dietro la baracca, facevo legna per cucinare ed ero china verso terra quando a un tratto ho visto una serpe, era una brown, una femmina, a non più di mezzo metro dalle mie mani. Si era già alzata sulla coda ed era pronta ad attaccare. Mi sono presa un tale spavento che ho buttato in terra la legna che tenevo tra le braccia, ho urlato ed ho iniziato a battere i piedi in terra. Tutto quel trambusto l’ha spaventata perchè l’ho vista subito scivolare via e andare a nascondersi nell’erba alta. Così mi sono un po’ calmata e mentre raccoglievo nuovamente la legna ad un tratto mi è venuta in mente la Grande Madre Serpente e ho voluto ringraziarla per lo scampato pericolo.
- Si ma l’italiano cosa c’entra – chiede John con un filo di supponenza nella voce.
- Ci arrivo – ribatte Sheela
- Proprio alla fine del mio ringraziamento, mi è venuto in mente il nostro vicino di casa ed ho pensato a come si riduce tutte le sere. Ed ho ricordato che la serpe era femmina e allora ho capito o almeno credo di aver capito: secondo me c’è una donna di mezzo!
- Cioè mi vuoi dire che quell’uomo si sta uccidendo lentamente, sbronza dopo sbronza, a causa di una donna?
- Te l’ho detto, uomo testardo, sono mie idee.
- Ma le tue idee, come le chiami, alla fine si rivelano sempre, o quasi, la verità.
- Ascolta – continua John - domani, per quel lavoro della staccionata, mi pagano la giornata e hanno detto che mi danno anche un cosciotto di agnello. Cosa dici se lo invito a mangiare con noi?
Lo sguardo di Sheela si apre in un sorriso talmente tenero verso il suo uomo che subito  anche lui, malgrado quel po’ d’imbarazzo per gli incisivi superiori mancanti, le sorride di rimando.
Più tardi nel letto, prima di addormentarsi, tenendola tra le sue braccia ed ascoltando il suo respiro cadenzato e pesante da primo sonno, l’uomo ripensa alle parole della sua compagna:
- Se è come dice lei, il mio compito è difficile. Ma le leggende di noialtri Bunjalung mi aiuteranno a fargli capire.
Subito dopo le sue palpebre si fanno molto pesanti e calano su un’altra giornata regalatagli dal destino. In pochi attimi si addormenta.


2
- Che cazzo di serata – biascica tra sé Bastiano, stirandosi e sbadigliando, appena alzato dalla branda.
Esce sul retro della baracca e fatti tre metri entra in un’altra baracchetta di lamiera ondulata, quattro metri quadri in tutto: il bagno.
Dopo essersi assicurato che nessun ragno redback ha scelto la tavoletta del cesso come riparo notturno, ci si siede.
Stessa operazione per il piatto della doccia: tutto a posto, nessun visitatore importuno, a parte gli onnipresenti scarafaggi. L’aria è già calda, malgrado siano solo le sei e mezza del mattino: il casino del bere è che crolli la sera, ma dopo poche ore di sonno il malessere fisico, la sciarma, ti risveglia.             Il frescume dello scroscio lo aiuta a schiarirsi le idee e con il refrigerio e la mente un tantino più lucida, torna il ricordo della sua performance della sera precedente, al pub, in paese.
Com’è andata? Al solito! Solita sbronza colossale, da solo e pensando agli affari suoi. Poi, quando infine  il rum lo ha intenerito e Sonia ha fatto capolino nella sua mente, ha iniziato a parlare da solo, lo sproloquio si è presto acceso di toni incazzati e inevitabilmente, come d’abitudine, il buttafuori tongano lo ha gentilmente, cioè a spintoni, accompagnato fuori. Al solito, appunto!
Bastiano esce dalla baracchetta con un asciugamano intorno alla vita e uno sulla testa per asciugarsi i capelli.
Poi tutto succede in rapida successione: sente un acuto dolore alla caviglia che lo fa piegare su se stesso e con la coda dell’occhio vede la serpe allontanarsi nell’erba alta. Un attimo prima di perdere i sensi ripensa colpevolmente a quante volte si è  ripromesso di tagliare l’erba col decespugliatore intorno alla baracca.


3
Quarantacinque anni in due: Bastiano ventidue, Fulvio ventitre! È un caldo pomeriggio di giugno del 1979, stanno andando alla spiaggia e camminano chiacchierando e ridendo. Giunti nei pressi della villetta che fa da sede alla Pubblica Assistenza Ambulanze, Bastiano la nota. Lei è lì da sola, appoggiata allo stipite della porta dell’ufficio con l’aria di chi aspetta qualcuno con cui poter scambiare due chiacchiere, che però non arriva. Gli sembra che ci sia un accenno di noia su quel viso.
Fulvio lo incalza e cerca di attirare la sua attenzione sulle scorribande della serata che li aspetta ma lui è preso da quel viso, da quei capelli biondo grano, da quegli occhi azzurri, ridenti, da quell’espressione così ingenua eppure così eccitante. E poi - che diamine - da quel suo corpo già pienamente sviluppato, da quei seni che sembrano quasi voler bucare la camiciola di lino leggera, estiva.
Assume l’andatura più impostata e noncurante che sa – alla John Wayne - e proprio mentre le passano davanti e Fulvio insiste in un discorso che lui non ascolta neanche più, si gira e la guarda negli occhi con uno sguardo tra l’ammirato e lo strafottente. Lei inizialmente ricambia lo sguardo ma quasi subito, forse intimidita, si volta nella direzione opposta.                                                          
Dopo, in spiaggia, Bastiano ripensa a quel viso, a quello sguardo. Certo anche la visione di quei seni fa capolino, ma è come se venisse a distoglierlo, a turbare l’immagine di quel viso così dolce.
- È proprio carina – mormora tra sé sorridendo.
Così il giorno dopo rieccolo – solo questa volta - sui suoi passi. In mano ha due oggetti:  un 45 giri e un sacchettino di boccioli di roselline.
Lei è lì, sola, appoggiata allo stipite e come ieri ha l’aria di chi aspetta qualcuno.
- Stavolta la tua attesa non andrà delusa – pensa lui con un sorriso beffardo.
Quando è a un metro da lei si ferma, la guarda e le dice tendendole il disco:
- Tieni questo è per te, è Please don't go dei K&C and Sunshine Band, spero ti piaccia - e le porge il 45 giri.
Subito dopo, per niente intimidito e sempre con quella sua faccia da schiaffi, prende dal sacchettino una rosellina, ne inspira l’aroma e gliela porge dicendole:
- Anche questa è per te! Ma ricordati che la rosellina più bella sei tu - e se ne va con quel suo passo alla John Wayne, senza attendere risposta.

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Riemergere da quella sensazione di infinita spossatezza è come scalare una montagna a mani nude. Bastiano riprende conoscenza per pochi attimi, quanto basta però a visualizzare il viso di un vecchio, dalla pelle scura, che gli fa un accenno di sorriso e che alle sue suppliche dettate dall’arsura, brevi lamenti incomprensibili, risponde inumidendo le sue labbra con una pezzuola bagnata. Poi scivola nuovamente nell’incoscienza.

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Sonia - la biondina delle ambulanze -  e Bastiano sono in spiaggia. Non è la prima volta che si nascondono in quella spiaggetta, dietro gli scogli del molo. Lui le è ronzato attorno per un po’ e dopo gli iniziali divertiti rifiuti ad andare al mare con lui lei ha infine accettato.
La bella Sonia Martelli, la più bella del quartiere, la morigerata ragazzina di famiglia piccolo-borghese, cresciuta tra casa, scuola e chiesa. Adolescente come tante altre, se non fosse per quel viso da madonna senese e quello sguardo che buca l’anima. Qualche esperienza con l’altro sesso, accompagnata dall’immancabile sottile senso di colpa, prima di conoscere Giacomo e fidanzarcisi. Ed ora, a scombussolarle allegramente la vita ecco apparire Bastiano.
Ogni incontro è stato sempre più coinvolgente di quello precedente e la loro intimità è andata crescendo ogni volta. Ma c’è qualcosa che blocca Sonia: lo vorrebbe, lo desidera, del resto non sarebbe il primo, ma non riesce a superare una remora, un ostacolo mentale. Sarà forse per timore di ferire quel Giacomo, il suo fidanzato, uno che è già andato a casa a presentarsi, un bravo ragazzo. Uno che non sa farla sentire bella come Bastiano sa fare, ma che sembra avere la testa sulle spalle. E già, forse è per quel motivo che lei, inconsciamente, non riesce a lasciarsi andare: lui, Giacomo, non ha la pessima reputazione che Bastiano invece si è guadagnato in paese!
Ma chi è Sebastiano Carena? È presto detto: un ragazzo ventiduenne senza arte né parte, un frikkettone anarcoide che finita Ragioneria senza peraltro la benché minima intenzione di occuparsi di partita doppia, tiene a bada gli inviti pressanti a trovarsi un lavoro serio che i suoi genitori – presso cui vive – gli rivolgono quotidianamente, svolgendo qualche lavoretto provvisorio. E che passa la sera con i suoi amici fantasticando di un mondo più giusto, più equo, più bello...tra una “canna” di hashish e un cono della gelateria Pucci.
Non a caso la professoressa Revelli, avvistatolo un paio di volte all’uscita della scuola dove aspettava Sonia alla fine delle lezioni, si è premurata di telefonare subito alla madre di lei avvertendola che sua figlia frequentava  un tipo ”poco raccomandabile”! Ma questo Bastiano non lo sa ed ora è lì, le labbra di lei sulle sue, le mani sui suoi seni, a chiedersi perché, ancora una volta, lei stia rifiutando il suo invito ad andare a casa sua dove starebbero tranquilli, visto che i suoi non ritorneranno fino a sera.
La sera stessa, passeggiando sul lungomare, Bastiano e i suoi amici conoscono un gruppo di ragazze di Milano e più tardi in spiaggia, dopo il bagno alla luce della luna, pur essendo “preso” a strimpellare sulla sua chitarra le canzoni di Battisti e sebbene ripensi alle carezze di Sonia, lui si accorge degli sguardi  che quella tipa carina, la Roberta, ha continuato a rivolgergli per tutto il tempo.
Così il giorno dopo, solita spiaggetta, soliti scogli, solite frasi tenere e baci e carezze, all’ennesimo rifiuto di lei alla sua richiesta di intimità, lui, che tra l’altro coglie un tono leggermente infastidito nella sua risposta, capisce che non ha più voglia di aspettare e decide che non la inviterà più. E quando al momento di salutarsi lei non le chiede niente e non accenna ad un appuntamento per il giorno dopo, intuisce che sono giunti insieme alle stesse conclusioni. Le da un ultimo leggero bacio sulle labbra e si allontana provando un misto di sottile tristezza per ciò che resta indietro e di velato entusiasmo per ciò che presto accadrà.

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Le lacrime scivolano sulle guance di Bastiano e Sheela le asciuga con un fazzolettino di carta. La donna sfiora delicatamente il suo viso: scotta! Immerge la pezzuola nel catino d’acqua fredda, la torce e l’appoggia sulla sua fronte. L’italiano non ha ancora ripreso conoscenza: i medici dicono che ha  superato la fase critica dell’avvelenamento. A complicare le cose però c’è il fatto che il suo fegato ha dovuto sopportare un carico di lavoro eccezionale negli ultimi tempi: alcol a profusione. C’è stata qualche resistenza da parte del personale paramedico “bianco” quando i due vecchi aborigeni si sono offerti di badare a lui. Ma una volta accertato che Carena non ha nessuno che gli badi e considerando che la loro presenza costante al suo capezzale libera un’infermiera da quelle incombenze minime, alla fine hanno accettato la loro presenza.
Sheela riempie un contagocce di un liquido che odora leggermente di menta: l’infermiera lo ha lasciato sul comodino raccomandandosi di versarne qualche goccia ogni tanto sulle quelle labbra screpolate.
- Perché fai così, uomo, perché ti fai del male – gli sussurra lei – non capisci quanto grande è il dono che ti è stato fatto. Sprechi la tua vita martoriandoti per cose su cui non hai controllo. Tutti noi abbiamo un ruolo, uno scopo, una meta da raggiungere. Ecco il significato della vita: non si può dissiparla, annegarla in un mare di dolore e punizione.
Ora le lacrime scendono anche sul viso solcato di rughe della vecchia: un uomo ancora così giovane, nel pieno degli anni! Ed eccolo lì, due tubicini che entrano nelle narici per l’ossigeno, le braccia stese, inerti, da cui partono le sonde delle fleboclisi, i sensori collegati alle macchine, la sacca del catetere desolatamente vuota: insomma un disastro!
Ad un tratto a Sheela, gli occhi annebbiati dal pianto silenzioso, pare di cogliere un leggero movimento delle labbra di lui. Osserva più attentamente e trova conferma alla sua impressione: Bastiano sembra voler dire qualcosa!
Avvicina il suo orecchio a quelle labbra secche di vita e lo sente biascicare qualcosa.
- Dimmi uomo, parlami: cosa ti tormenta – e rimane in attesa.
È un soffio, un flebile tentativo di reazione, un diafano sprazzo vitale:
- ..onia... – un suono ripetuto un paio di volte con voce rauca, molto bassa.
Poi in un ultimo tremendo sforzo:
- ...Sonia...- prima che l’uomo crolli nuovamente esausto.
- Sonia – ripete lei – una donna dunque.
Sheela rivede mentalmente la serpe femmina e sente un brivido profondo percorrerle la schiena fino ad esplodere all’altezza del suo cervelletto.
Ma qualcosa di grave sta succedendo: Bastiano ha preso ad agitarsi con veemenza e quel bip bip della macchina risuona sempre più velocemente facendo accorrere gli infermieri. E ad un tratto diventa un suono costante, interminabile, insopportabilmente lungo e quel segno sul monitor non ha più scarti all’insú ed è diventato un lungo filo piatto.

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Bastiano si ferma come ogni pomeriggio a prendere il caffé al bar da Gepi: quattro chiacchiere di sport prima di entrare al deposito di laterizi dove lavora come autista. È una gran bella giornata di fine settembre, il sole ha scaldato l’aria e una leggera brezza da ponente ha spazzato via l’umidità del mattino. Dopo un lunghissimo fidanzamento, sette anni, da dieci mesi si è sposato con Linda. Le cose non vanno male ma il loro matrimonio risente già un po’ della stanchezza per quell’interminabile preludio prematrimoniale. Uscendo dal bar Bastiano pensa a tutta quella serie di gentilezze reciproche che non hanno quasi mai, quasi più, quel guizzo di entusiasmo, quel pizzico di passione che un matrimonio così fresco dovrebbe invece avere. Visto che l’edicola è lì a fianco, entra per comprare una rivista di attualità che leggerà, più tardi in cabina, per ingannare i tempi morti mentre gli operai  scaricheranno i mattoni dal suo automezzo.
Quande esce dal negozio la vede: ma si, è lei, Sonia! È bella come sempre, forse un pochino appesantita, ma quella carrozzina che spinge gli rivela il perché. I suoi occhi sono puntati su di lui: quel suo solito sguardo che trapassa. Un leggero sorriso, divertito al suo palese imbarazzo, le increspa le labbra.
Avrebbe preferito non essere visto e sgattaiolare via ma a questo punto sarebbe una scortesia gratutita non fermarsi a salutarla, a complimentarsi per la maternità. E poi che problema c’è? Ormai è acqua passata no?Le posizioni in campo sono chiare, inequivocabili. Però non può negare il disagio che ha provato nel vederla.
Si avvicina, gli tende la mano e tra i due inizia uno scambio di battute di modo, quasi banali per quanto sono scontate: come stai, ti trovo bene, si sono sposato e tu, anch’io si è mio figlio si chiama Andrea, ha due settimane, e voi bambini, ancora niente, verranno, vedremo....
Gli occhi di lei non si sono neanche per un istante staccati dai suoi e quando lui ha già iniziato a salutarla, nel suo sguardo coglie per un attimo una domanda rimasta senza risposta.
E d’improvviso nella sua mente ripassano velocemente quella breve estate di nove anni prima, quei baci, quei suoi dinieghi e, infine, quella sua fuga per cercare altrove ciò che lei non era ancora pronta a dargli. Allora capisce quanto gli manchino quello sguardo, quella voce vellutata, quelle tenerezze. Le si avvicina ancora di più e con un soffio di voce, ché a quel punto l’emozione sembra sopraffarlo, le sussurra all’orecchio:
- Ormai, lo so, è troppo tardi! Ma Sonia, sappi che nel mio cuore c'è sempre un posticino con il tuo nome – e dopo un breve saluto si allontana velocemente.

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L’hanno preso appena in tempo: due scosse col defibrillatore e quel bip ha ricominciato ad intervallarsi con brevi silenzi e sul monitor quella linea ha ricominciato ad evidenziare i battiti del cuore. Il tutto è durato un paio di minuti ma a Sheela sono parse ore interminabili.
Quando arriva John per darle il cambio, lei, esausta e tra un singhiozzo e l’altro, le racconta l’accaduto.
- Vai a casa adesso, con lui resto io – le sussurra John e la congeda con una carezza, sorridendole.
La donna lo bacia sulle guance e dopo un ultimo sguardo al paziente che giace incosciente, si allontana. Il vecchio, come di consueto, si siede sulla seggiola al fianco del letto e prende ad intonare una di quelle sue vecchie nenie Baryulgal.
I medicinali hanno fatto il loro effetto: la febbre è sparita, il respiro è regolare e Bastiano pare riposare tranquillo.
Ad un tratto John ha l’impressione di veder le sue labbra incresparsi in un accenno di sorriso.
- Stai tornando tra di noi, italiano. Questa è buona cosa – gli sussurra avvicinandosi – ma sappi che la realtà sarà più dura di questo tuo essere, di questo tuo fluttuare, se non saprai affrontarla da guerriero.
Tace per un attimo ripensando a ciò che ha appena detto e poi riprende sempre sussurrando:
- Ora ti racconto una vecchia favola! Ora e non quando sarai cosciente, ora che non hai difese razionali così che essa penetri parola dopo parola nel tuo cuore e ti porti consiglio.
Si sistema più comodamente sulla seggiola ed inizia a narrare:
- C’era una volta un coraggioso cacciatore, capace di affrontare il canguro da solo e di aspettare per ore sotto il sole il barramundi delle acque salmastre per infilzarlo al primo colpo. Si chiamava Boojin. Un giorno, con i più esperti cacciatori della sua famiglia, partì per una spedizione di caccia. 
La sera, intorno al fuoco dell’accampamento della tribù confinante, lui vide una giovane donna, gli parve bellissima e la desiderò come mai gli era accaduto prima con nessun’altra. Lei si chiamava Yoonda e ricambiava gli sguardi di lui con occhiate sfuggenti cariche di promesse. Dopo la battuta di caccia, sfidando i tabù e le maledizioni della famiglia di Yoonda, i due fuggirono e Boojin la portò a vivere nel suo villaggio. Passarono alcuni mesi e i due sentivano il loro amore crescere ogni giorno di più. Ma una mattina un messaggero della tribù di Yoonda giunse al villaggio di Boojin portando  l’ingiunzione dei vecchi che la forzavano a tornare al villaggio, pena l’invio degli Uomini Ombra che l’avrebbero uccisa. Boojin scacciò a pedate il messaggero e le promise che l’avrebbe protetta ad ogni costo. La mattina dopo però Yoonda era sparita. Lui tornò al suo villaggio per riprendersela ma di lei non c’era traccia. Allora capì che lei aveva rinunciato a lui e il suo amore si mutò in rancore.
Ben presto però il rancore si rivelò per quello che era: un esoso alleato. Lui soffriva per averla persa e la speranza della vendetta impediva alla sua ferita di rimarginarsi. Ma il tempo, prezioso alleato, vinse il risentimento e lui pian piano, con il passare degli anni, capì che forse rinunciando a lei, avrebbe potuto trovare pace nella consapevolezza del suo sacro sentimento. Capì che l’amore che aveva saputo provare per lei era più importante di qualunque presenza fisica e che sarebbe rimasto intatto nel suo cuore fino alla fine dei suoi giorni. E allora, quando ormai non l’aspettava più e lei era ormai solo un ricordo sfumato intriso di dolcezza e mondato da ogni acrimonia, una mattina vide la sua figura stagliarsi netta nel fulgore del sole che nasceva. Yoonda era ritornata.

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Bastiano è nell’ufficio della ditta di legnami per cui lavora e sta prendendo un caffé con Rachel, la segretaria. Lei, che ha una pagina su Facebook, gli dice:
- Sai che una tipa italiana mi ha chiesto l’amicizia? Anzi è ligure, proprio come te.
- Ah si – ride lui – fa vedere.
Il viso di Sonia è lì, sul monitor: Bastiano sente che cede all’emozione e un groppo in gola smorza la sua risata.
Rachel, che si aspetta un commento, uno qualunque, non udendolo stacca gli occhi dal monitor, guarda Bastiano e dalla sua espressione capisce che è successo qualcosa:
- Ma noooo! Non mi dire che la conosci? Non ci posso credere! È incredibile, è bellissimo!
- Si la conosco, e bene anche – sussurra lui con voce rotta dall’emozione - possiamo mettere una canzone.
- Certo che possiamo, cioè a questo punto – e sorride sorniona - certo che puoi: cosa vuoi postare?
- Vorrei postare, come dici tu, una vecchia canzone di KC & The Sunshine Band. Si chiama Please don’t go.
Così, dopo oltre vent’anni e malgrado i sedicimila chilometri di distanza che li separano, grazie a un sito internet, ad una dimensione virtuale, Bastiano è nuovamente in contatto con Sonia, la biondina delle ambulanze. Lei ora è una donna matura, consapevole, magari anche un po’ provata dalla vita, ma in fondo chi non lo è alla loro età? La sua bellezza però è intatta e quel suo sguardo, Dio quel suo sguardo, continua a bucare l’anima.
Lui, che dopo anni sente di nuovo dentro di sé un’energia che credeva persa per sempre e che usava il computer solo per tenere vivi certi suoi strambi deliri letterari e per giocare al solitario, si iscrive ad un corso per imparare a navigare in internet. Rachel lo aiuta, eccitata com’è dall’idea che la sua consulenza possa contribuire a rinfocolare una storia d’amore che, stando alle parole di Bastiano, giaceva come brace sotto la cenere.
Carena ha sempre preso in giro i colleghi che flirtavano virtualmente, ma ora deve ammettere che funziona: messaggi, fotografie, carinerie, confidenze, frasi inequivocabili nella loro dolcezza e, a volte, nella loro sensualità. E in quei momenti in cui lei non è lì fisicamente ma grazie alla tecnologia è come se lo fosse, l’aggettivo “virtuale”  assume per lui una valenza completamente diversa.
Ma la distanza pesa comunque e pesano le incertezze dettate dai fatti reali, quelli che nel corso degli anni hanno dato forma alla vita dei due amanti ritrovati. Bastiano è divorziato ma i suoi figli vivono in Australia. Sonia, da parte sua, dice di non amare più Giacomo, suo marito, ma anche loro hanno dei figli e lei non sembra trovare la forza di staccarsi da questa situazione. Bastiano a volte diventa  un po’ più insistente sull’ipotesi di un ricongiungimento e mostra una certa impazienza. Allora lei scompare per giorni e giorni lasciandolo solo con i suoi  sensi di colpa. Parte dei quali sono dovuti da un lato alla consapevolezza che anche lui non è ancora pronto ad allontanarsi dai suoi figli ancora adolescenti; e dall’altro all’incertezza che gli procura l’idea di doversi riabituare a condividere nuovamente il suo spazio con un’altra persona, a rinunciare a quelle piccole abitudini da scapoli che il vivere soli permette di reiterare.
Entrambi sono convinti che in ogni caso prima di fare un passo decisivo sia necessaria una fase, per così dire, di studio reciproco. Un periodo di tempo che serva a conoscersi meglio ed a capire se gli eventuali possibili sviluppi di quella relazione possano effettivamente ridare un senso ad un’esistenza che sotto il profilo sentimentale sembra non aver più nulla da offrir loro. Lui, da parte sua e con una certa supponenza, pensa di poterle ridare ciò che crede lei abbia smarrito da tempo: la sua   femminilità. E lei, con la stessa supponenza, crede di potergli ridare qualcosa che è convinta lui abbia smarrito da tempo: la capacità di amare incondizionatamente. 
La soluzione si presenta sottoforma di una breve vacanza, dieci giorni, da trascorrere insieme in un località che si trovi più o meno a metà strada tra l’Australia e l’Italia. Dopo aver scelto, scartato, scelto nuovamente varie destinazioni, finalmente decidono per l’India. È più o meno a metà strada; è un paese ricco di tradizione, di storia, di cultura, di monumenti; è una meta non eccessivamente cara dove senza dover spendere un tesoro ci si possono permettere un discreto albergo e dei pasti che garantiscano di non dover passare la loro vacanza seduti su un cesso; è un posto dove la miseria, se vista con occhi scevri da pregiudizi, può servire ad immergersi in quel bagno di umiltà così utile in un mondo in cui il “chi sei” sembra essere  ormai completamente e  definitivamente sconfitto dal “ cosa possiedi”.
Passano alcuni mesi tra progetti, itinerari, fantasticherie e, naturalmente passaporti, biglietti, prenotazioni. Per Sonia, tra l’altro, si tratta di mettere in piedi una storia che regga: una destinazione credibile e non particolarmente lontana, l’Irlanda ad esempio, visto che ha sempre detto di aver paura di volare e visto che in casa sanno quanto lei sia sempre stata affascinata da quel paese. E poi, soprattutto, un’amica disposta ad aiutarla in questa impresa: ché una signora perbene della profonda provincia italiana, tutta lavoro, casa, chiesa e palestra non va in vacanza da sola per dieci giorni, senza destare dubbi e pettegolezzi. Un’amica disposta a coprirla, che cioè dica che andranno insieme in vacanza a Dublino e dintorni, ma che poi ci vada da sola mentre lei volerà in India. Si saluteranno alla Malpensa, ognuna diretta verso la propria destinazione e alla Malpensa si ritroveranno dopo la parentesi vacanziera. Poi, nel viaggio in treno di ritorno da Milano alla Liguria, avranno tempo per discutere di tutti i particolari che serviranno a rendere credibile un viaggio mai fatto insieme e Sonia potrà mettersi in borsa i souvenirs irlandesi che a Mumbay proprio non si riescono a trovare. Pippi Castelletti, un’amica relativamente recente ma a cui, ricambiata, si sente molto legata e che è informata sul “caso Bastiano” nei minimi dettagli, si presta alla tresca. Anche lei, dice, ha un “Bastiano” da incontrare in uno dei caratteristici  pub della Dublino Vecchia.
E finalmente viene il giorno della partenza: il ventidue di aprile del 2010! L’appuntamento è all’aereoporto di Mumbay, all’uscita della dogana dei voli internazionali, alle sette di sera, qualche minuto dopo che il volo di Sonia sarà atterrato. Bastiano a quell’ora sarà a terra da circa due ore: il tempo di una birra bevuta con calma, di uno sguardo distratto ad una rivista e di un paio di sigarette e potrà riabbracciare Sonia dopo tanti anni e dopo tutte le recenti promesse scambiatesi vicendevolmente.
A parte un paio di leggere turbolenze, il volo di Bastiano è tranquillo. L’interessante conversazione con un giovanotto di Varanase, puntino rosso in mezzo alla fronte e turbante di ordinanza, gli permette di far scorrere il tempo abbastanza in fretta. Ma le considerazioni sulla situazione socio-politico indiana attuale, per quanto istruttive e profferite dall’indiano con un tono sempre più coinvolto e coinvolgente, non riescono ad attenuare completamente l’eccitazione  di Bastiano per il prossimo incontro, i suoi dubbi, l’aspettativa che sente crescere.
Ma eccolo finalmente in India: recupera il suo bagaglio e va poi a sedersi ad un bar lì nei pressi. Ad ogni minuto l’impazienza e l’ansia per l’incontro crescono sempre di più. Così le birre diventano due, poi tre e le cicche delle sigarette hanno ormai riempito a metà il posacenere. Bastiano non riesce a distogliere gli occhi dal pannello elettronico degli arrivi e finalmente la lucetta verde che indica l’avvenuto atterraggio si accende di fianco all’indicazione del volo Milano-Mumbay.
Si alza con calma: l’attesa è finita. Prende la sua valigia e la trascina sulle piccole ruote mentre si avvia ai cancelli d’uscita dei voli. Il palpito del cuore aumenta sempre di più, la gola è secca: ecco le ombre dei viaggiatori provenienti da Milano delinearsi dietro i vetri opachi del corridoio d’uscita. Saluti calorosi, pacche sulle spalle, baci, strette di mano, autisti di auto private con il cartello del nome della persona che accompagneranno via. Sonia non è ancora uscita:
- Qualche piccolo intoppo alla dogana - pensa Bastiano - con il suo inglese approssimativo, poi...
Altra gente continua a fluire, salutare, allontanarsi e pian piano l’atrio si svuota. Bastiano si sporge oltre la ringhiera per sbirciare nel corridoio e riceve le risentite rimostranze di un poliziotto. L’atrio è vuoto, nessuno esce più dal corridoio, Sonia non c’è!
Bastiano corre al banco della compagnia aerea e smorzando per quanto può il nervosismo si rivolge cortesemente all’impiegata e le chiede di Sonia.
La giovane donna controlla più e più volte, gli porge un blocco per appunti e gli chiede di scrivere in stampatello il cognome di Sonia. Si china sul registro delle partenze e ricontrolla ancora una volta:
- Mi spiace signore: non c’è nessun Martelli tra i nomi delle persone che hanno fatto il check-in a Malpensa. La signora che dice lei non si è mai imbarcata sul volo!


4

Cara Sonia,
questa è l’ultima volta che riceverai un messaggio da me! E sai perché? Perché ho deciso di bannarti dalle mie amicizie! Lo so: per noi gente di Facebook, dove tutto è virtuale ed estremamente volatile, l’amicizia assume valenze quasi sacre e questa dunque è un’offesa, uno schiaffo in viso, una mossa che sa di irreparabile. Ma tu te la meriti! Perché non mi hai lasciato altra scelta!
Non credo ce ne sia bisogno - perché quando ti è servito hai mostrato di avere un’ottima memoria – ma lascia che ti riassuma brevemente i fatti accaduti negli ultimi otto mesi.
Tutto è iniziato quando ricevetti  un’inaspettata richiesta di amicizia dall’Italia, la tua, accompagnata da un messaggio che per la sua confidenzialità mi sembrò insolito; in esso mi spiegavi che per caso eri venuta a sapere che Bastiano ed io lavoravamo nella stessa ditta e mi assicuravi che voi due, anche se la vita vi aveva separati, vi amavate da sempre.
Mi raccontavi di come tante volte ti eri rammaricata di non aver avuto il coraggio di fregartene delle convenzioni, di non aver saputo rinunciare alla sicurezza sociale ed economica che tuo marito ti aveva saputo dare e, in una parola, di non essere stata forte abbastanza da seguire l’uomo che sapevi di amare e poi restare al suo fianco. E terminavi chiedendomi di aiutarti a riavvicinarlo facendo però in modo che il tutto sembrasse una pura coincidenza. E perché me lo chiedevi? Perché, mi dicesti, eri pronta a fare il grande passo: i tuoi figli erano cresciuti, di tuo marito non te ne importava più niente e volevi rendere reale il tuo sogno d’amore di una vita.
Già la tua insolita richiesta avrebbe dovuto farmi riflettere ma io, ragazza un po’ in là con gli anni, ingenua come solo le persone cresciute nel profondo outback australiano possono essere e in più inguaribile romantica, ti ho creduta e sono stata al tuo gioco fin dall’inizio. Ho cominciato con l’accettare i suoi inviti per un caffé, a scambiare battute scherzose con lui e quando ho intuito che aveva abbassato la sua guardia nei miei confronti, che insomma si fidava, un pomeriggio che era in ufficio gli ho mostrato la foto del tuo profilo. Quando ho visto la sua reazione ho capito che non mi avevi raccontato delle storie: anche lui ti amava! L’ho visto rinascere: ha ricominciato a tenere alla sua persona, era sempre gentile, non faceva più lo scemo con tutte, insomma un altro uomo! Naturalmente mi sono messa da parte e sono intervenuta solo quando tu mi chiedevi di dirti, da amiche, come mi sembrava la situazione oppure quando lui mi chiedeva consigli su come pensavo fosse meglio fare per riavvicinarti, per capire senza farsi nuovamente del male. Praticamente l’idea di Mumbay è farina del mio sacco, cara!!!!
Ecco, appunto....Mumbay! Da lì, da quel ventidue aprile, sei praticamente scomparsa. O meglio, sei riapparsa una volta per supplicarmi di scusarti, che sapevi di aver tradito la mia fiducia, sapevi di aver sbagliato, che all’ultimo momento ti era mancato il coraggio, che ora eri pentita. A lui però, neanche una parola!
Lui ha iniziato a bere. Bere pesantemente: tutte le sere dopo il lavoro andava direttamente al pub. Poi anche di giorno. Così ne ha risentito il suo lavoro ed ha avuto un paio di incidenti con il muletto per colpa dell’alcol e si è indebitato per rimborsare i danni che aveva fatto. Alla fine l’hanno sbattuto fuori. Ben presto non ha più potuto pagare l’affitto ed ha perso la casa: ultimamente viveva in una baracca di lamiera in campagna.
Ed è proprio lì, in campagna, che l’ha morso la serpe! Si è salvato grazie a due aborigeni che vivono lì vicino che hanno visto la scena. Lo hanno assistito notte e giorno, si davano i turni, poveri vecchi, capivano il suo dolore.
Lui, John, è venuto a cercarmi, a chiedermi se sapevo di qualche dispiacere: non si spiegavano la sua rinuncia, la sua ostinazione a non guarire. Io non gli dissi niente, erano affari vostri, ma te l’ho scritto, chiedendoti di fare qualcosa, almeno una lettera, due parole di incoraggiamento. Tu muta!!
Allora ho iniziato a andare io, dopo il lavoro, a dare il cambio ai due vecchi, a bagnargli le labbra con una spugnetta, ad asciugargli il sudore, a tenergli le mani quando gli tremavano violentemente.
Piano piano si è ripreso, l’hanno disintossicato, dal veleno e dall’alcol, ha ricominciato a parlare, si è sfogato, ha pianto, ha raccontato cose che io sapevo già: sapessi quanto mi sono sentita in colpa, per colpe non mie tra l’altro! Ed ascoltandolo ho via via capito che tipo di uomo è, sai? Si certo, è insofferente alle regole ed è sicuramente un uomo indipendente....un cinghiale. Ma è generoso, buono, semplice, romantico, creativo: sai che scrive delle bellissime novelle? Insomma Sonia, mi sono innamorata di lui e lui, l’altro giorno, commosso fino alle lacrime, presenti Sheela e John, i due vecchi aborigeni, mi ha preso la mano nella sua e mi ha detto che mi vuole bene. Quando a breve uscirà dall’ospedale, verrà a vivere da me. E siccome la mia casa è grande abbastanza, ci verranno anche John e Sheela, ché vivere in una baracca di lamiera, alla loro età poi, non è il massimo. Ecco, te l’ho detto! Addio Sonia e...grazie!
Rachel.




FINE

Danilo Sidari - 2011