Thursday, December 23, 2010

Bene....

...stacco per un paio di settimane! E' Natale...vado in spiaggia!!
Nel 2011 continuero' a postare "roba vecchia" (il blog pian piano diventera' il mio archivio) ma questa verra' gradualmente sostitutita dalla produzione attuale.
Grazie a tutti e auguri per un anno nuovo..pieno d'ispirazione.
Danilo


CON LE CARTE IN REGOLA

DECIMA PUNTATA

Il cantore dei simboli arcaici  

In quarantanni di carriera, Franco Battiato ha saputo offrire un gran numero di lavori musicali divaganti dal rock progressivo, all'avanguardia, dalla musica classica e sacra all'elettronica senza trascurare nel frattempo di inventarsi un anomalo tipo di composizione pop sospesa fra riminescenze classiche, divagazioni mistico-intellettuali e tendenze commerciali.
C’è un filo continuo però che contraddistingue e lega tutta la sua opera ed influenza la sua vena creativa cioè la sua profonda e costante ricerca spirituale.    
Nasce in provincia di Catania nel 1945 e ventenne si trasferisce a Milano. Tra il 1965 e il 1969 pubblica alcuni  45 giri di qualche successo.
Nel ’69 però decide di rompere ogni contatto che lo lega a quel mondo discografico.  
Segue un periodo di profonda crisi personale da cui esce con l’aiuto del sufismo dei mistici mediorientali e con la musica elettronica che da lì in poi caratterizzeranno il suo modo di essere e di concepire l'arte musicale.                                                                                                                                                 Dal 1971 infatti, e fino al ’75 si dedica alla musica sperimentale producendo albums come Fetus, Pollution e Sulle corde di Aries. Suona da spalla per artisti del calibro di Brian Eno o di gruppi come i tedeschi Tangerine Dream, che facevano largo uso di sintetizzatori elettronici. Nello stesso periodo conosce e diventa amico del compositore Karlheinz Stockhausen.      
Ma già dal volume Sulle corde di Aries, il migliore della prima produzione, la sperimentazione e l’elettronica sofisticata iniziano a fondersi con una particolare forma di musica tradizionale araba e con l’uso di strumenti acustici. Abbandona quasi del tutto l'elettronica e per almeno tre anni si dedica alla composizione classico-avanguardista colta. Trascorre le giornate chiuso in casa davanti al pianoforte e frequenta musicisti  classici come il violinista Giusto Pio, suo maestro e futuro collaboratore agli arrangiamenti degli album incisi fino al 1991.




Escono in questo periodo tre long playing, Battiato, Juke Box e infine L'Egitto prima delle sabbie del ‘79 che esauriscono il periodo propriamente sperimentale di Battiato e lo portano alla sua terza grande trasformazione artistica, forse la più radicale e per certi versi sconcertante.
Alla fine del ’79 esce L'Era Del Cinghiale Bianco, che è una raccolta di canzoni pop molto orecchiabili! Certo parliamo di pop ai massimi livelli ma si tratta comunque di canzoni che si possono fischiettare sotto la doccia, arrangiate sontosuamente ed arrichite da testi sospesi fra meditazione filosofica ed esoterismo, ricche di citazioni elevate e di immagini evocative. Il cinghiale bianco, ad esempio, nell’antica tradizione religiosa celtica, simboleggiava colui che faceva da tramite tra gli dei e l’uomo, cioè il druido.
Nel 1981 esce l’album che lo consacra come popstar, La Voce Del Padrone, sette canzoni orecchiabili e persino ballabili e, cosa non da poco, con testi in cui la critica sociale è spietata ed anticipa lucidamente lo scenario degli anni ‘80, quelli del cosiddetto riflusso, con il rampantismo, la crisi delle ideologie e la rincorsa al denaro ed al benessere.  




A metà degli anni ’80 Battiato inizia una carriera parallela di compositore colto che allarga i suoi orizzonti espressivi dalla canzone all’opera classica. E’ il caso ad esempio, dell’opera in tre atti Genesi del 1986.
Di questo periodo influenzato dalla musica classica ricordiamo anche i long playing Fisiognomica dell’88 e Come Un Cammello In Una Grondaia del ’91.  
Nel ’92 pubblica Gilgamesh, la seconda opera esoterica e quello stesso anno tiene l’ormai storico e controverso "concerto di Baghdad" eseguito con l'Orchestra Nazionale Irachena.  Del 1993 è l’album Caffè De La Paix  e l’anno successivo torna al classico con la Messa Arcaica, una composizione religiosa per coro e orchestra. Nello stesso anno, nasce la collaborazione col filosofo siciliano Manlio Sgalambro, che da quel momento in poi sarà autore di quasi tutti i testi delle sue canzoni.


Dalla bizzarra collaborazione nascono lavori come L'Ombrello E La Macchina Da Cucire  del ‘95 e Gommalacca del ‘98 che è uno dei massimi successi di vendita, ma nel contempo paradossalmente uno dei più arditi esperimenti.    
Del 1999  e del 2002 sono le due raccolte Fleurs e Fleurs 3 una collezione di canzoni d'amore di altri autori reinterpretate ed arrangiate per ensemble da camera. Nel 2000 su commissione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino incide i sette movimenti sperimentali per balletto che compongono Campi Magnetici, che è un momentaneo ritorno alle tendenze avanguardiste dei primi anni 70. 
Seguono nel 2001 Ferro battuto, nel 2004 Dieci stratagemmi ed è di quest’anno l’LP Il vuoto.




A partire dal 1985, Battiato si dedica all'attuazione di numerosi progetti estranei alla musica. Fonda una propria casa editrice L'Ottava che pubblica  libri di autori vari, legati a tematiche esoteriche ed in particolare al pensiero di Georges Ivanovitch Gurdjieff, uno dei più influenti maestri della storia dell’esoterismo. Nel 1989 L'Ottava diventa anche un'etichetta discografica  che pubblica titoli di musica etnica. Lui  stesso è scrittore: ricordiamo Evoluzione evoluzione evoluzione  e il recente Ideogrammi del 2005. Attorno al 1990, Franco Battiato inizia a cimentarsi nella pittura e dal 1993 espone in mostre personali in Italia, Svezia e Stati Uniti firmandosi con lo pseudonimo di Süphan Barzani.  
Di lunga data è anche il rapporto di Franco Battiato con il cinema. Varie le collaborazioni con i vari Giacomo Battiato, Pasquale Scimeca e Nanni Moretti. Dal ’79 realizza in proprio tutti i suoi videoclip e la sua passione per la regia si concretizza nel 2003 con il suo primo film Perdutoamor  con il quale si aggiudica il Nastro d'Argento come miglior regista esordiente. Nel 2006 è uscito nelle sale il suo secondo film Musikanten, imperniato sugli ultimi quattro anni di vita di  Beethoven ed è di prossima uscita nelle sale il suo terzo film Niente è come sembra con Giulio Brogi come protagonista.   Diverso invece il suo rapporto con il piccolo schermo dove appare solo per rilasciare rare interviste o per prestare il suo nome a campagne di solidarietà sociale.




Concludiamo con Battiato questa rassegna musicale che ci auguriamo sia stata di vostro gradimento. Ringrazio chi ci ha seguito durante questi dieci appuntamenti e
la SBS che li ha ospitati con Marco Lucchi che ne ha curato la regia. E poi ancora  Francesco Bianco  e Claudio Marcello per il materiale sonoro procurato e Renzo Sabatini per la consulenza musicale. A risentirci su SBS.

Danilo Sidari - 2008

CON LE CARTE IN REGOLA

NONA PUNTATA

Il sindacalista con la chitarra    

Senza Woody Guthrie, il cantautore statunitense di cui parliamo oggi, forse Robert Zimmermann non sarebbe diventato Bob Dylan. Guthrie è considerato unanimamente il padre putativo di tutti i cantautori americani e rimane una figura di spicco sia sotto il profilo della ricerca e della produzione musicale, sia sotto quello dell'impegno sociale. Woody nasce il 14 luglio 1912 a Okemah, che è una piccola città in Oklahoma cresciuta nel periodo del boom petrolifero. Molti hanno fatto fortuna con il petrolio e suo padre è uno di questi. L’infanzia e l’adolescenza di Woody però sono segnate da un susseguirsi di disgrazie che lo lasciano letteralmente solo, senza famiglia e senza finanze. Se ne va da Okemah e inizia a vagabondare per gli Stati Uniti viaggiando sui treni merci clandestinamente ed imparando a sopravvivere facendo qualsiasi genere di lavoro.

http://www.youtube.com/watch?v=UlbLs_bvimU

Nel 1937 arriva a Los Angeles dove inizia ad esibirsi in recital radiofonici. Ma intanto viaggia per conoscere e documentare le precarie condizioni di vita dei lavoratori immigrati. All’inizio del ’40 arriva a New York e incontra un gruppo di intellettuali tra cui Pete Seeger e Alan Lomax che stanno riscoprendo la musica popolare e che trovano in lui il rappresentante di quell’arte genuina che cercavano.




Il periodo bellico lo vede imbarcato nella marina mercantile. Alla fine della guerra riprende a suonare e incidere canzoni, ma la sua collocazione nella sinistra americana e nel sindacato gli procurano un posto nelle liste nere della caccia alle streghe maccartista rendendogli la vita ancora più difficile. Ad inasprire queste condizioni nel 1952 gli viene diagnosticato il morbo di Huntington, la stessa malattia neurocerebrale che aveva ucciso la madre, che conduce lentamente all'immobilità ed infine alla morte. Nel ’56 le sue condizioni di salute peggiorano, entra in ospedale e non ne uscirà quasi più fino alla morte che avviene il 3 ottobre 1967.
Oggi proponiamo The Ballad of Sacco and Vanzetti in cui con il suo personalissimo stile Guthrie racconta le vicissitudini giudiziarie dei due anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo e culminate con la loro condanna a morte e la loro esecuzione.
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, emigrati a Boston nel 1908, vengono arrestati nel 1920 con l'accusa di aver ucciso un contabile e la guardia di un calzaturificio e di aver rubato i soldi delle paghe. Ma sulla loro colpevolezza ci sono molti dubbi già all'epoca del loro processo. Il loro in effetti è un caso giudiziario montato a arte. I due sono i  perfetti agnelli sacrificali in quanto sono immigrati italiani, capiscono poco l’inglese e soprattutto sono stati coinvolti in scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra.   



Molti famosi intellettuali, tra cui Bertrand Russell, George Bernard Shaw  e John Dos Passos, sostengono una campagna per giungere ad un nuovo processo ma l'iniziativa non approda ad alcun risultato.
Il 23 agosto del 1927, dopo sette anni di udienze, i due uomini vengono uccisi sulla sedia elettrica e la loro esecuzione innesca rivolte popolari sia a Boston e negli Stati Uniti che in Europa.
Dopo 50 anni, nel 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconosce ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilita completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
Il lavoro su Sacco e Vanzetti è solo uno dei tanti esempi di impegno civile che Guthrie incanala nella sua produzione artistica. Tra i long playing più rappresentativi voglio citare Dust bowl ballads tratto dal suo viaggio di ricerca nelle condizioni sociali dei migranti; This land is your land scritto come risposta al God save America di Berlin; Long Ways To Travel sull’esperienza del vagabondaggio; Struggle sull’esperienza delle lotte sindacali; The ballad hunter per l’Archivio di musica folk della Biblioteca Nazionale del Congresso e infine Bound of glory con brani ispirati all’omonima autobiografia.
Oltre alle moltissime canzoni, Woody lascia l’autobiografia appena citata e tradotta in italiano con il titolo Questa terra è la mia terra; Born to Win, una raccolta di poesie, disegni e scritti vari, Woody Sez raccolta di articoli scritti per la rivista People's world e il romanzo Seeds of man.
Fra gli autori che più significativamente hanno tratto ispirazione da Woody Guthrie spiccano Bob Dylan e Bruce Springsteen. Tra i numerosi interpreti che hanno inciso sue canzoni ricordiamo Pete Seeger, Harry Belafonte, Joan Baez, Richie Havens, suo figlio Arlo Guthrie e il complesso irlandese degli U2.
In Italia hanno interpretato alcune sue canzoni gli Stormy Six ed Edoardo Bennato.


http://www.youtube.com/watch?v=wxiMrvDbq3s

Danilo Sidari - 2008                                                          

CON LE CARTE IN REGOLA

OTTAVA PUNTATA

La mondina aristocratica    
Nel panorama musicale italiano e soprattutto nel campo della riscoperta e della valorizzazione e diffusione della musica folk italiana, Giovanna Marini è una degli artisti più rappresentativi. La sua è una produzione vasta che parte, come dicevo, dalla ricerca etnico-musicale ma che sconfina nel cinema, nel teatro, nella letteratura. Ma quale che sia l’espressione artistica nel quale la Marini si è cimentata, i denominatori comuni sono sempre la capacità innovativa, l’impegno sociale costante e coerente espresso attraverso il suo lavoro ed un’etica esistenziale scevra di protagonismi ma ricca di idee e di un forte
desiderio di condividerli, di mettere a disposizione di tutti le sue conoscenze. 
Nata a Roma nel 1937 e cresciuta in una famiglia di musicisti, Giovanna si diploma nel 1959 in chitarra classica al Conservatorio di Santa Cecilia e in seguito si perfeziona con Andres Segovia, uno dei massimi chitarristi classici di tutti i tempi.
Inizia la carriera concertistica suonando il liuto con l’ensemble del Maestro Quaranta. Poi all’inizio degli anni Sessanta incontra un gruppo di intellettuali fra cui Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino e Gianni Bosio e scopre il canto sociale e la storia orale cantata. Nel 1964 con lo spettacolo di canto politico e sociale Bella Ciao, presentato al Festival di Spoleto con grande scandalo, la Marini si schiera politicamente ed offre una lucida anteprima di quello che sarà il suo percorso artistico. Inizia ad esibirsi con regolarità e contemporaneamente a raccogliere canti popolari in giro per l’Italia. Il Belpaese sta vivendo un periodo di forti contrapposizioni sociali e di situazioni sempre più incandescenti che sfoceranno nelle grandi manifestazioni pubbliche del ‘68.
Entra a far parte del Nuovo Canzoniere Italiano collaborando con i cantautori politici  Ivan Della Mea, Gualtiero Bertelli e Paolo Pietrangeli. Impara l’emissione vocale e il repertorio da Giovanna Daffini e l’arte del racconto e dell’improvvisazione dal poeta Peppino Marotto del gruppo I Pastori di Orgosolo. Ma durante i suoi viaggi conosce tanti altri cantori e cantastorie e grazie all’Istituto Ernesto De Martino, può portare avanti la raccolta e la catalogazione di canti di tradizione orale, il loro studio e la loro trascrizione. Questo suo lavoro di trascrizione e poi d’arrangiamento le permetterà in seguito di trasportare la memoria cantata sul palcoscenico.
Continuando la ricerca musicale e il suo impegno negli spettacoli e iniziative del Nuovo Canzoniere, partecipa alla spettacolo Ci ragiono e canto di cui Dario Fo cura la regia, si appassiona al teatro, al gusto del recitare e dello stare in scena.
Così già nel 1965 incomincia a comporre lunghe ballate che raccontano la sua esperienza e che interpreta sola in scena accompagnandosi con la chitarra.  




Nel 1974, con un gruppo di musicisti anch’essi provenienti da percorsi non tradizionali come Giancarlo Schiaffini, Michele Iannaccone ed Eugenio Colombo fonda la Scuola Popolare di Testaccio a Roma. Inizia ad esibirsi con un gruppo stabile ed affronta quindi la scrittura per strumenti e voci. Due anni dopo crea il Quartetto Vocale per il quale compone da allora le Cantate e con il quale si esibisce in concerti e tournées in Italia e all’estero. I concerti del Quartetto sono il compimento di tutte le esperienze musicali di Giovanna Marini cioè la ricerca sui canti di tradizione orale, l’insegnamento, la composizione strumentale e vocale, la scrittura individuale e collettiva. La ballata viene
gradualmente sostituita dai numerosi oratori e poemi sinfonici.    
Proprio alla Scuola Popolare la Marini inizia la sua attività didattica con l’insegnamento dell’etno-musicologia applicata al canto di tradizione orale italiano. Attività questa che dal 1991 al 2000 svolge anche presso l’Università Saint Denis di Parigi ed in numerosi seminari in Italia e all’estero.
Con i suoi allievi di Roma e Parigi ha fatto una decina di viaggi di studio per ascoltare e registrare i canti di tradizione orale ancora presenti in Italia nelle feste religiose o profane. Ascoltiamo la versione originaria, quella cantata dalle mondine, di un brano poi ripreso nella lotta partigiana



 La sua instancabile attività musicale la porta a comporre anche per il cinema, per registi come Nanni Loy, Citto Maselli e Paolo Pietrangeli. Ed anche per quanto riguarda il teatro la produzione è notevole e molto qualificata. La Marini ha portato in scena, musicandoli o interpretandoli, una gamma di autori che va dai classici greci a Moliere, da Oscar Wilde a Pasolini.  Insomma, un’attività intensa che continua senza sosta. Tra gli eventi più recenti  e significativi ricordiamo il long playing Il fischio del vapore inciso nel 2002 con Francesco De Gregori; il libro intitolato Una mattina mi son svegliata, edito da Rizzoli nel 2004, un diario che racconta i viaggi collettivi fatti con allievi di nazionalità diverse ed i propri ricordi e pensieri sul lavoro svolto con il Nuovo Canzoniere Italiano. Dello stesso anno sono le musiche per La ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde che poi nel 2006 ha portato in scena con Umberto Orsini.




Giovanna Marini è una fine compositrice ed arrangiatrice oltre che musicista virtuosa ed  interprete dallo stile molto personale. Dotata di una inesauribile verve creativa e di una presenza scenica non comune, nella sua quarantennale carriera l’artista ha saputo unire alla formazione classica del conservatorio, il suo amore per la canzone popolare tradizionale e folclorica, che ha esplorato e catalogato in maniera certosina.
Da questo enorme e composito bagaglio culturale, filtrato dal suo impegno sociale, la Marini ha estratto ed offerto al pubblico una produzione artistica veramente monumentale che comprende decine di ballate, di oratori, di opere e poemi sinfonici. E poi ancora le colonne sonore e le piece teatrali musicate e cantate oltre ad una decina di volumi che spaziano dalla narrativa alla poesia alla saggistica e metodologia musicale. Una produzione che comunque non è mai scontata nè banale ma che anzi fà della denuncia sociale un punto fermo ed imprescindibile.

http://www.youtube.com/watch?v=2L0GxshnD_g

Danilo Sidari - 2008

CON LE CARTE IN REGOLA

SETTIMA PUNTATA

Una cattiva reputazione                                                                                   Georges Brassens nasce a Sète, nel sud ovest della Francia, il 22 ottobre 1921. Suo padre Louis è un muratore anticléricale convinto, mentre la madre, Elvira Dagrosa, è una vedova napoletana emigrata in Francia con la figlia Simona, nata nel 1912 dal suo primo matrimonio. Elvira è una fervente cattolica e del carattere partenopeo la donna ha conservato l’amore per la musica ed il canto. La radio in casa è sempre accesa e già in giovanissima età il piccolo George conosce e canta tantissime canzoni tra le quali predilige quelle di Ray Ventura e di Charles Trenet.
Nel 1933 George si iscrive al liceo. E’ un allievo mediocre ma conosce Alphonse Bonnafè, suo professore di Lettere che fa nascere in lui l’amore per la poesia francese. Nel 1939 un incidente giudiziario accellera la sua fuga a Parigi. Viene coinvolto in un furto di gioielli e condannato col beneficio della condizionale e già nel febbraio del ‘40, raggiunge la capitale e si stabilisce presso la pensione della zia Antoinette. Per vivere si impiega come operaio ma ben presto scoppia la guerra e a causa di un bombardamento aereo tedesco che ha colpito gli stabilimenti dove lavora, rimane disoccupato. Passa dunque le giornate a leggere i poeti francesi e ad esercitarsi al pianoforte di proprietà della zia. Nel 1942 pubblica la sua prima raccolta di poesie satiriche ma qualche mese dopo viene inviato in Germania per svolgere il Servizio Lavoro Obbligatorio per l’esercito tedesco. Qui inizia a comporre le sue prime canzoni e conosce Pierre Ointenente, detto Gibraltar, che resterà suo amico ed impresario per tutta la vita. Nel marzo del ‘44 beneficia di una licenza e si reca a Parigi dove diserta e si nasconde fino alla fine della guerra a casa di Jeanne Bonniec e del marito Marcel Planche, con i quali rimarrà sempre amico.                                                                                                       Nel 1946, aderisce alla Federazione Anarchica ed inizia a collaborare con il quotidiano Le Libertaire ed a cantare le sue prime canzoni durante gala anarchici. Nel ’47 pubblica un pamphlet surrealista, La luna ascolta alle porte, contraffacendo il marchio Gallimard.




Sempre nel 1947 incontra la donna della sua vita, Joha Heiman, soprannominata Bambolina, una signora estone che ha qualche anno più di lui. I due non vivranno mai insieme, ma resteranno amanti fino alla fine e Brassens le dedicherà alcune canzoni. Tra il 1951 ed il 1952, si esibisce al Caveau de la République e in altri cabaret. Non ha molto successo ma  mantiene comunque fiducia in sé stesso e continua a lavorare alle sue canzoni, fino a che nel marzo del ‘52 la famosa chansonnier Henriette Ragon, detta Patachou, inizia ad interpretare alcune sue canzoni e infine lo convince a salire sul palcoscenico ed affrontare il pubblico. Brassens finalmente rompe gli indugi, si esibisce ed ottiene un successo immediato.
Già nel 1953 esce La Mauvaise Réputation per la casa discografica Polydor a cui resterà fedele durante tutta la sua carriera e per la quale registrerà ben 12 album.
Scrive nello stesso anno il romanzo intitolato La tour des miracles. Le registrazioni dei nuovi lavori si susseguono con cadenza annuale: nel 1954 pubblica Les Amoureux des bancs publics e vince il Premio dell’Académie Charles Cros per il suo primo album. Del 1955 è il lavoro Chanson pour l'Auvergnat che è dedicato agli amici Jeanne e Marcel che lo avevano nascosto durante la sua diserzione.
Nel 1957 esce Je me suis fait tout petit, dedicato alla Heiman ed è dello stesso anno la sua prima ed ultima apparizione in un film, Il quartiere dei lillà di René Clair in cui ricopre il ruolo dell'artista e del quale compone la colonna sonora. Alla produzione discografica, Brassens unisce le numerose serate a contatto col pubblico dei cabaret parigini che alterna con le frequenti tournèe in Italia, in Belgio e  nel nord Africa. Partecipa con una certa assiduità a serate i cui profitti sono devoluti ad associazioni libertarie, antimilitariste, attente a problematiche sociali e non ultime quelle che si occupano di protezione degli animali.
Dopo la pubblicazione di Le Pornographe nel 1958, Le Mécréant nel 1960 e Les Trompettes de la renommée l’anno successivo, nel 1962 il cantautore francese deve affrontare la scomparsa della madre e i primi seri problemi di salute che lo portano a subire un primo intervento chirurgico ai reni. Torna nel ’64 con l’album Les Copains d'abord  ma l’anno successivo muore il padre. Altra pausa riflessiva e nel 1966 ricompare con quello che è considerato da molti critici il più intenso dei suoi lavori Supplique pour être enterré à la plage de Sète. Dopo il lavoro in sala d’incisione seguono due mesi di recital parigini con la cantante Juliette Greco. Nel ’67 vince il Grand Prix de Poesie decretato dalla Académie Française ma deve sottoporsi ad un secondo intervento chirurgico.   
Arriva il 1968 e vede gli studenti parigini scendere in piazza e manifestare. Brassens non partecipa direttamente alle manifestazioni di maggio, ma la sua solidarietà va ai giovani contestatori.




Sempre nel ’68 scompare l’amica Jeanne Bonniec. La produzione discografica si fa ora più sporadica: nel 1969 esce La Religieuse e tre anni dopo, nel ‘72, viene pubblicato Fernande. Nello stesso anno partecipa ad un gala contro la pena di morte insieme a Léo Ferré e si esibisce per tre mesi interi al Bobino, il più prestigioso cabaret parigino. Poi vengono quattro anni di concerti intervallati da alcune lunghe pause e nel 1976 esce il suo ultimo album Don Juan. Sempre nel ’76 vince il Premio Tenco alla carriera. Un’altra lunga pausa e nel 1979 scrive Emilie Jolie, un racconto musicale destinato ai bambini. Nel 1980  registra una raccolta di canzoni della sua gioventù, a vantaggio dell'Associazione Perce-Neige fondata da Lino Ventura, attenta alle persone con disabilità mentali. Alla fine dello steso anno si ammala e viene operato per l’asportazione di un tumore ma dopo l’intervento rifiuta la chemioterapia. Durante l'estate del 1981 torna a Sète la sua città natale e il 29 ottobre 1981 la morte lo coglie vicino a Montpellier, a casa del suo amico e medico Maurice Bousquet. Le sue spoglie sono interrate a Sete, come da lui richiesto nella sua Supplique. Un parco parigino ubicato nei pressi del vecchio mattatoio, gli è stato intitolato. Il cantante visse buona parte della sua vita parigina a qualche centinaio di metri da lì, in un arrondissement lontano da quelli centrali e quindi ancora denso di un'umanità reale, di fatti e personaggi che sono stati per Brassens una fonte di ispirazione artistica inesauribile e una palestra esistenziale molto importante. 


Georges Brassens ha scritto ed interpretato numerose canzoni, alcune sentimentali e malinconiche, altre sarcastiche ed anticonformiste, tutte comunque ricche di atmosfera e frutto di una fantasia inesauribile. Molte sono state tradotte in altre lingue. In Italia  Nanni Svampa e Fabrizio De Andrè hanno dato ampio risalto alla sua opera. Cultore di un minimalismo scenico che rasentava la scontrosità, Brassens non amava le grandi orchestrazioni e si esibiva accompagnato solo dalla sua chitarra e dal contrabbasso. Lo stesso minimalismo trova riscontro nelle sue canzoni che sono storie di gente semplice, storie di gente che come lui ha avuto origini umili. Così come trova riscontro in un’esistenza quotidiana fatta di piccole cose, di abitudini reiterate, di amicizie pluridecennali coltivate con dedizione. Un’esistenza in definitiva che è improntata ad una semplicità che raramente si riscontra in un artista che ancora in vita vendette più di venti milioni di dischi e che resta una figura primaria del panorama musicale europeo contemporaneo.


Danilo Sidari - 2008

Sunday, December 12, 2010

CON LE CARTE IN REGOLA

SESTA PUNTATA
La poetessa dello spleen livornese  
La carriera artistica di Nada Malanima è contrassegnata da un preciso spartiacque temporale, il 1973, anno in cui, sebbene sia solo ventenne, intraprende un percorso alternativo di ricerca di una sua nuova dimensione esistenziale ed artistica.
Nada debutta a sedici anni, nel 1969, al Festival di Sanremo con la canzone Ma che freddo fa. Il brano ottiene un immediato successo di vendite e con esso arriva anche la consacrazione da parte di pubblico e critica. Da quel momento i successi discografici si susseguono. Tra le canzoni più note ricordiamo Pà diglielo a mà, Che male fa la gelosia del 1970,  Il cuore è uno zingaro del 1971, Re di Denari del 1972.
Poi, come dicevo, nel 1973 avviene la svolta e Nada si avvicina alla nuova canzone d'autore italiana collaborando con Venditti, Baglioni e Cocciante. Pubblica l'album Ho scoperto che esisto anch'io e con esso la giovane cantante livornese abbandona l'immagine adolescenziale costruita dai suoi discografici e coraggiosamente si avvicina ai testi di Piero Ciampi, che come abbiamo visto è uno degli autori più sensibili ed al tempo stesso più ignorati della storia della musica leggera italiana. Abituati com'erano alla Nada prima maniera critica e pubblico sono spiazzati e l'album viene rivalutato solo successivamente.
La svolta prosegue l’anno successivo con 1930: Il domatore delle scimme in cui collabora con la Reale Accademia di Musica, mentre nel 1976 nell'LP Nada torna a collaborare con Ciampi e interpreta per la prima volta anche testi di Paolo Conte.


Cambia casa discografica ed inizia una collaborazione con Mauro Lusini e tra il 1979 ed il 1981 pubblica svariati 45 giri che ottengono un discreto riscontro commerciale. Nel 1982 porta al successo il brano Ti stringerò di cui per la prima volta è l’autrice del testo.
A testimonianza della difficoltà incontrata nell’adeguarsi ai dettami dell’industria discografica nel 1983 Nada cambia nuovamente etichetta e pubblica l'album Smalto, di cui fa parte il brano Amore disperato, che diventa immediatamente uno dei maggiori successi dell'anno. Nell’84 esce l’LP Noi non cresceremo mai  e due anni dopo Baci rossi nei quali l'artista lascia ampio spazio all'elettronica, senza però ottenere un gran successo. Partecipa al festival di Sanremo con la canzone Bolero a cui fa seguire un lungo silenzio. Un silenzio che viene interrotto nel 1992 dalla pubblicazione di un lavoro più maturo e composito quale L'anime nere.  


Nel 1994 per i 25 anni di carriera, esce la raccolta intitolata Malanima: Successi ed inediti 1969-1994 che contiene anche due pezzi scritti per lei da Baglioni  nel 1972.
A testimonianza di un'attività concertistica che ad un minimalismo scenico molto intimista ed autobiografico unisce una rara raffinatezza degli arrangiamenti, nel 1997 esce l’album dal vivo Nada Trio. 
Sebbene la gran parte dell’attività artistica della Malanima ruoti intorno alla sua personale ricerca intimista, alla composizione e ad una serie di concerti limitata da precise scelte, essa viene qua e là interrotta da qualche sporadica uscita mondana, quasi una sorta di periodico tributo alle origini. Torna all’edizione ’99 del Festival con la canzone  Guardami negli occhi. Sempre del ’99 è il lavoro Dove sei sei frutto di una collaborazione con Mauro Pagani mentre nel 2001 viene pubblicato L'amore è fortissimo il corpo no, un lavoro più improntato al rock in cui l’artista offre una visione diversa da quella intimista abituale. Ma è dello stesso anno anche l'interpretazione molto intensa  della canzone Il figlio del dolore, che ha cantato in coppia con Adriano Celentano. 
Nel 2003 esce per Fazi Editore, il libro Le mie madri in cui con una serie di poesie e brevi racconti, Nada ripropone gli stessi nodi di sofferenza che sono alla base della sua spinta creativa e che qui vengono espresse in una forma più dilatata, meno sintetica di come avviene in una canzone. Le poesie di Nada sono prose ritmiche, senza metafore, senza giri di parole, senza possibilità di equivoco in cui traspare il senso di qualcosa di perduto che l’uomo non riesce più a ritrovare.
Nel libro, Piero Ciampi ricorre in due racconti, come personaggio importante nella vita e nella storia personale di Nada. Ma in questa sorta di autobiografia non convenzionale, onesta e di un’umiltà disarmante compaiono anche la morte del padre, le normali ossessioni erotiche, le cadute d’umore, l’isolamento, subìto ma anche voluto, i problemi con l’alcool, la continua ricerca e riaffermazione della sua condizione femminile.
La musica resta ovviamente il suo principale mezzo d’espressione e gli ultimi anni vedono Nada Malanima impegnarsi ed affermarsi sempre di più come autrice di grande spessore...sia per i testi che per le musiche. Nel 2004 esce Tutto l'amore che mi manca seguito l’anno successivo dal live L'apertura frutto dell’ennesima collaborazione, questa volta col musicista Massimo Zamboni. Nel 2006 torna con una raccolta delle migliori ballate incise negli ultimi dischi intitolata Le mie canzoncine 1999-2006  e infine, a completamento di questa biografia, la recente pubblicazione dell’album Luna in piena del 2007 e del doppio live Stazione birra del 2008.                                                                            



Danilo Sidari - 2008

Tuesday, December 7, 2010

CON LE CARTE IN REGOLA

QUINTA PUNTATA
Il menestrello crepuscolare     
Di Nick Drake, da almeno quindici anni a questa parte, si è sentito parlare parecchio. Qualche volta anche a sproposito, magari quando è stato accostato ad autori che sono venuti dopo di lui ed il cui lavoro è stato quindi sminuito. Sta di fatto che a partire dagli anni ‘90 i brani di Drake sono stati proposti come accompagnamento a spot pubblicitari, sono apparsi degli articoli sulle riviste specializzate; nel 2000 è uscito il documentario A Skin Too Few dell'olandese Jerome Berkven e un paio d’anni dopo il lungo special radiofonico con la voce narrante di Brad Pitt, che la BBC gli ha dedicato. E poi ci sono almeno due importanti raccolte delle sue canzoni. Si tratta di un tardivo riconoscimento della levatura artistica del cantautore inglese scomparso nel 1974 che gli rende finalmente la notorietà che merita ma che non cancella il rammarico per una potenzialità espressiva andata perduta che accomuna Drake a quegli artisti che come lui sono scomparsi prematuramente e spesso in maniera drammatica.  
Ma la storia di Nick Drake non ha nulla di eclatante e rumoroso ed è anzi contrassegnata da lunghi silenzi e da un pudore che a tratti sconfina nell’autolesionismo. Nick nasce il 19 giugno 1948 in Birmania dove il padre era ingegnere a servizio di una ditta inglese di legnami. Quando ha quattro anni, i Drake ritornano in Inghilterra e si stabiliscono nella campagna vicino a  Birmingham dove egli cresce felice in un ambiente naturale e silenzioso.
Gli anni della scuola passano spensierati: è un alunno ricettivo, un ragazzo magari un pò riservato e serioso o vagamente fra le nuvole, ma essenzialmente sano.
E' proprio la madre a trasmettergli l'amore per la musica: al liceo impara a suonare sassofono, clarinetto e pianoforte. Il suo interesse si sposta però sulla chitarra acustica, strumento prediletto a cui dedica ore e ore di studio, che alterna all’ascolto della radio. Si forma un gusto musicale ben definito: il folk,  il blues ed il jazz e naturalmente le nuove leve del rock, cioè i Beatles ed i Rolling Stones
                                                                               
Vengono i primi viaggi con gli amici: a Londra e poi in Belgio, in Germania, in Francia ed in Marocco e durante questi soggiorni all’estero inizia a far uso di sostanze stupefacenti. Nel '67 si iscrive all'università dove segue con qualche interesse solo i corsi di letteratura inglese. Conosce Robert Kirby, suo coetaneo e giovane compagno di studi che diverrà l'arrangiatore ufficiale dei suoi primi due album. Fa scarsa vita sociale, studia poco e a causa della lontananza dal nucleo familiare, comincia a coltivare un senso di auto-isolamento. Nel 1968 però, inaspettato, l'evento che cambia per sempre la sua vita cioè un concerto alla celebre Round House di Londra. E’ l'occasione preziosa per farsi ascoltare e infatti tra il pubblico c'è Ashley Hutchings, bassista dei Fairport Convention che impressionato favorevolmente lo presenta al manager Joe Boyd. Boyd gli procura un contratto discografico con l'etichetta Island, un compenso fisso settimanale di 20 sterline e la reputazione di talento emergente del panorama musicale anglosassone. 
In un lampo tutti i desideri di Nick sembrano avverarsi.


Iniziano le sedute di registrazione del primo album, Five Leaves Left, che si protraggono per quasi un anno. Intanto Drake lascia l'università, senza laurearsi,  e si trasferisce definitivamente a Londra. Joe Boyd diviene il mentore di Nick perchè è saggio, è spigliato ed è carismatico, tutte qualità che a Drake sono sempre mancate. 
Purtroppo, della bellezza di questo primo album si accorgono in pochi e le vendite sono assai modeste. Nick abbozza anche un tentativo di promozione, esibendosi alla Royal Festival Hall di spalla ai Fairport Covention. Va molto bene, lui è applauditissimo, ma lascia il palco con imbarazzo perchè il pubblico vociante lo rende nervoso ed insicuro. Preferisce lo studio di registrazione ed il lavoro certosino alle canzoni mentre la promozione, i cartelloni pubblicitari, i concerti, le interviste, non gli interessano ed anzi lo indispongono e reagisce ad essi isolandosi.
La critica però inizia ad occuparsi di lui e ad incoraggiarlo ed anche la BBC non si lascia sfuggire il nuovo personaggio ed inizia a  proporre le sue canzoni.
Nel 1970 suona ancora di spalla ai Fairport Convention, ma sperimenta lo stesso fiasco emotivo dell’esperienza precedente e decide di non esibirsi più in pubblico.
A questo periodo risale l'avvio di una tormentata relazione sentimentale con la cantautrice francese Françoise Hardy, ma i dettagli della storia rimangono nell'ombra. Intanto prende forma il nuovo album: l’artista ha in mente un'opera di respiro più  ragionata e ambiziosa, che finalmente possa donargli la meritata considerazione. Nasce così Bryter Layter che compare nei negozi nel novembre del ‘70. L'accoglienza purtroppo è ancora troppo tiepida: 15.000 copie. Un numero superiore all'esordio, ma nettamente inferiore alle aspettative.

Nick ha perso anche questa opportunità e cade profondamente in depressione. In quello stesso periodo Joe Boyd, l'uomo che più credeva in lui, il consigliere, l'amministratore, l'amico, decide di tornare negli Stati Uniti, suo paese natale e per Nick questo è un colpo durissimo.
Iniziano le frequenti visite psichiatriche, decise dai genitori preoccupati, e la macabra danza di antidepressivi e medicinali che lo porterà a una lenta, ma implacabile assuefazione. Le droghe faranno il resto. Trascorre un periodo ad Algeciras, nel sud della Spagna, per un rilassante soggiorno estivo. Sul fronte psichico non ci sono miglioramenti ma la pausa dallo stress londinese serve a Drake per portare mentalmente a termine il progetto sul nuovo album. Si tratta di una nuova dimensione solitaria in cui lui e la sua chitarra sono i protagonisti. Di ritorno a Londra si chiude in sala di registrazione e nello spazio di due sole notti di lavoro vede la luce nel febbraio del '72 il suo ultimo LP intitolato
Pink Moon. E’ una raccolta di undici brani con cui l'autore si guarda allo specchio e si racconta in maniera essenziale e senza fronzoli. Un testo base per tanti cantautori venuti dopo di lui e che  forse è quello più personale e sincero della sua limitata produzione.


Nonostante la pubblicità della casa discografica il disco non vende quasi nulla e Drake dopo la consegna dei nastri a una segretaria della Island, scompare nel nulla.
In seguito si viene a sapere che è ritornato nella casa paterna, nella campagna inglese dove vive pressochè isolato e non suona praticamente più. Due lunghi anni trascorrono in questa maniera, tra ricoveri per collassi nervosi e viaggi in macchina solitari, fino alla fatale notte del 25 novembre 1974 quando si addormenta per non risvegliarsi più. Che si sia trattato di suicidio o di un errore nel dosaggio di antidepressivi non è mai stato chiarito.
Forse la grazia compositiva di Nick Drake è veramente senza tempo, destinata cioè ad essere apprezzata solo col passare degli anni. 
La sua poesia sembra essere la pacata reazione a quel mal di vivere che intesse la trama della sua esistenza, un’esistenza che sembra essere  caratterizzata dall’incomprensione e da un invincibile senso di solitudine.
La sua musica si miscela magistralmente con i versi tanto da riuscire a tratti commovente per la sua purezza inebriante e per le altezze espressive che sembra saper proporre.  


Una storia sfortunata che non oscura il grande valore dell'artista. Nick Drake ha prodotto tre album meravigliosi, Pink Moon, Five Leaves Left e Bryter Layter.   Al loro interno c'è la passione e l'ambizione di un uomo che avrebbe voluto, nonostante la cronica timidezza, raggiungere il cuore di tutti gli ascoltatori.

Danilo Sidari - 2008

Friday, December 3, 2010

CON LE CARTE IN REGOLA

QUARTA PUNTATA

La nomade 

Gli psicologi la chiamano “dromomania” cioè la mania dello spostarsi continuamente, del viaggiare, del non fermarsi mai in un posto e alcuni di loro la reputano alla stregua di una patologia psichica. Quella di cui –  diceva De Andrè sarcasticamente - soffrirebbero i popoli Rom, ad esempio, che da essa sarebbero dunque affetti da circa duemila anni. Questo è un punto di vista perlomeno confutabile, specialmente alla luce delle storiche vessazioni, delle repressioni e degli stermini che questi popoli hanno subito da sempre e continuano a subire. Ma questa, va da sè, è un’altra storia!
Oggi presentiamo un’artista per cui le esperienze del viaggio, gli incontri della strada, non sono state solo un percorso esistenziale ma anche e soprattutto una fonte di ispirazione per le sue canzoni. Stiamo parlando di Lhasa De Sela.
La sua storia inizia a Big Indian, un paesotto dello Stato di New York, dove nasce nel 1972. Dopo qualche anno però, i suoi genitori, una fotografa ebrea-libanese naturalizzata statunitense e un insegnante messicano, decidono di abbandonare la tranquillità della provincia americana per una vita meno conformista. Acquistano ed adattano alla bisogna un vecchio scuola-bus e con i numerosi figli, avuti anche da precedenti relazioni, partono per un viaggio che durerà otto anni e che li porterà in giro per gli Stati Uniti ed il Messico.
La numerosa figliolanza dei De Sela vive ovviamente un’esistenza tutt’altro che convenzionale: loro primi insegnanti sono proprio i genitori, la televisione è bandita dalla loro vita ed è sostituita dalla radio, dalla musica, dai libri, dalla corrispondenza epistolare, dai continui cambiamenti di paesaggio e dalle lunghe discussioni alla luce dei fuochi da campo intervallate dai canti accompagnati dalla chitarra.
Qui nasce l’amore di Lhasa per la musica ed è a questo periodo che vanno datate le sue prime timide esibizioni a beneficio della famiglia e degli amici. Una sensibilità musicale che va formandosi e che è influenzata dai gusti musicali dei genitori: latino-messicani quelli del padre e klezmer-mediorientali ed est europei quelli della madre.
Ritroviamo Lhasa tredicenne a S. Francisco dove per arrotondare le entrate familiari, inizia ad esibirsi in un locale greco con cover di Billie Holliday e ballate popolari messicane.
Dopo gli studi inizia a viaggiare da sola per il nordamerica e a vent’anni, a Montreal, in Canada, incontra il compositore e musicista Yves Desrosiers con cui inizia ad esibirsi nei locali “downtown” della capitale del Quebec. La collaborazione va avanti per parecchi anni e nel 1997 esce per il mercato nordamericano il primo album della De Sela, intitolato La Llorona, dal nome della protagonista di un’antica leggenda azteca.




Lo stile molto personale della De Sela, la sua voce vellutata, le sue atmosfere intimiste unite al virtuosismo strumentale di Desrosier, fanno si che questo lavoro diventi ben presto un successo di critica e di pubblico.
La cantautrice, accompagnata dalla band canadese, inizia un tour che la vede esibirsi per oltre un anno in innumerevoli serate tra Stati Uniti, Messico e Canada e che vede la sua notorietà aumentare via via che le esibizioni si moltiplicano a ritmo incalzante. Quando i ritmi dettati dai discografici sembrano travolgerla, Lhasa decide di staccare dal suo ruolo di cantante, non accetta più ingaggi e una volta onorati gli impegni già presi, molla tutto e scompare dalla scena. Una decisione che anni dopo lei stessa definirà “un po’ troppo drastica”.                    
Riappare nell’estate del 1999 in Francia ospite delle tre sorelle naturali, che sono proprietarie di un circo, in cui si esibisce accompagnando con voce e chitarra il numero di un trapezista. Alla vita da musicista in tournèe, sempre di fretta, con poco tempo da dedicare alle persone e ai luoghi, ora si contrappone il ritmo lento del circo, una roulotte per casa, la vita in comune con gli amici ed i parenti, il lavoro condiviso. Al termine di una lunga e questa volta rigenerante tournèe nazionale, De Sela arriva a Marsiglia dove inizia a scrivere nuove canzoni.
Nel 2002 ritorna a Montreal e con alcuni componenti della vecchia band produce il suo secondo lavoro The living road che esce l’anno dopo largamente atteso su entrambe le sponde dell’oceano.
Il resto è ancora strada! De Sela riprende la sua tournèe, magari con ritmi meno incalzanti, questa volta esibendosi oltre che in nord-america anche in Europa dove nel frattempo l’eco della sua fama è giunto. Ma un destino crudele l’attende al varco: all’inizio del 2008 le viene dignosticato un tumore al seno contro cui inizia una lunga battaglia. La malattia non le impedisce di continuare a scrivere canzoni e nel 2009 esce il suo terzo album Lhasa, ma quella battaglia la vede infine perdente. La cantautrice nordamericana muore nella sua casa di Montreal il 1 gennaio 2010.




Le canzoni di Lhasa sono accompagnate sempre da strumenti delicati, acustici e naturali, con testi che parlano del deserto e del mare, degli uccelli e dei pesci, di storie di madri e di figlie.
Lhasa canta in spagnolo, inglese e francese ma è fuori dubbio che lo spagnolo è la lingua con cui la sua espressività raggiunge la piena completezza. La sua cultura musicale è stata profondamente influenzata dal nomadismo della sua gioventù, da questo continuo divenire emotivo dove la canzone-poesia incontra e si fonde in maniera sensuale con le musiche tradizionali.
Nelle sue canzoni le influenze blues, gitane e sud-americane, est-europee e jazz sono arricchite da una voce corposa, potente, ma anche morbida, sinuosa e sensuale. La sua discografia, come abbiamo detto, risulta scarna ma essenziale. Il primo disco, La Llorona è del 1998 ed è cantato in Spagnolo. Nel secondo album, The Living Road del 2003, gli arrangiamenti musicali fanno quasi da coro alla voce solista di Lhasa che qui canta anche in Francese ed Inglese. Con il terzo ed ultimo album Lhasa, ripercorre stilisticamente i due precedenti ma è interamente cantato in inglese.


Danilo Sidari - 2008