Danilo Sidari - 2002
- The train on platform one goes to North Sydney ! Next stop is Westmead, then Parramatta , Granville, Lidcombe, Strathfield, Redfern, Central and then all station to North Sydney . Stand clear, doors closing!
Era la mia sveglia ogni mattina! Ero regolarmente in ritardo quando caracollavo giù per la collina verso la stazione alle sette e quaranta, come nella canzone di Lucio Battisti. Avrei potuto tranquillamente interpretare uno di quegli sketch di mister Bean senza dover improvvisare, bastava nascondere una telecamera!
Tutto si svolgeva – ma anche adesso ogni tanto - come in un dormiveglia leggermente accellerato e improvvisamente mi ritrovavo in una delle stazioni succitate oppure, nelle mattine particolarmente nuvolose e buie, direttamente in ufficio sotto la luce rassicurante del neon.
Ora ho cambiato treno! Arrivo in stazione che quello per Campbelltown è appena partito, mi godo in disparte l’assalto al North Sydney delle otto meno un quarto e poi prendo il Gordon delle sette e cinquanta: vuoto! La stazione è quella di Seven Hills: i sette colli come a Roma! Ma qui è un bel quartiere dormitorio col suo bel centro commerciale, tutte le casette in fila e i praticelli da falciare al sabato pomeriggio e Trastevere, il Cupolone, Porta Portese e la Fontana di Trevi, sono su un’altro pianeta!
Stesse facce di sempre alla stazione: i personaggi sono sempre gli stessi e si finisce per collegarli a particolari situazioni, a brandelli di memoria, a semplici fantasie. Fantasie alle quali a volte mi piacerebbe poter attribuire ben altre valenze, ma che invariabilmente finiscono per rivelarsi per quello che effettivamente sono: giochi immaginifici del mio cervello in fase di risveglio.
Impressi a terra con vernice blu, ad una distanza di circa venti metri uno dall’altro, sono ben visibili per tutta la lunghezza della banchina dei marchi segnaletici. Divisa in gruppetti di quindici o venti persone ciascuno, che si formano in corrispondenza di questi segnali, staziona la gente che aspetta il treno. Non appena gli sportelli dell’espresso delle sette e quarantacinque si aprono automaticamente in corrispondenza dei marchi che dicevo, parte l’assalto alla diligenza!
Prima mi affannavo anch’io e so cosa vuol dire! Si è tutti lì, con le scarpe e la ventiquattrore allineate sulla linea gialla di sicurezza tracciata sul bordo del marciapiede, fintamente assorti ed invece vigili nel mantenere la posizione conquistata così da avvantaggiarsi quando si sale sul treno ed occupare uno dei pochi posti a sedere rimasti liberi. Perchè stare in piedi per quarantacinque minuti su di un treno metropolitano che va progressivamente affollandosi, non è la più confortevole delle esperienze e a volte si instaura una certa tensione!
Invece il treno per Gordon è sempre vuoto e si può scegliere dove sedersi: non c’è stress, insomma!
Beh, se proprio devo fare il pignolo ci sarebbe quella giovane donna australiana, insomma bianca voglio dire, anche piacente se vogliamo, ma con quell’espressione sempre incazzosa, nasino all’insù, capelli ramati L’Oreal sistemati in una treccia da collegiale, espressione da bambina puntigliosa e possibilmente dispettosa.
Lei, malgrado la certezza che troverà da sedersi, non sopporta che qualcuno salga sul treno prima di lei. Così si mette lì davanti, oltre la linea gialla di sicurezza, le mani nelle tasche del giubbotto e i gomiti allargati, ad impedire ogni tentativo di sorpasso e appena il convoglio si ferma, quando ancora le porte automatiche non sono completamente aperte, salta sù e scendendo precipitosamente la scaletta che porta allo scompartimento inferiore, và a prendere posto, sempre lo stesso, con un’espressione da ragazzetta maliziosa che ti ha fatto un dispetto. Comunque ho finito per abituarmici e per la verità anche lei ormai fà parte della monotonia quotidiana. Che stando alla casistica degli ultimi due anni, da quando cioè ho inziato a frequentare questa stazione ferroviaria, non viene mai interrotta se non dal tipo della Salvation Army che raccoglie oboli il venerdi mattina.
Non sempre però! Qualche volta capita che un imprevisto, un piccolo cambiamento alle abitudini, distragga noi pendolari dalle nostre elucubrazioni mattiniere.
Stamattina ad esempio, la colleggiale incazzosa era in compagnia di un belloccio, sulla trentina, calvo, impeccabile taglio di sartoria: insomma l’avresti detto un buon partito.
Già solo questo, ne sono sicuro, sarebbe bastato a scuotere almeno un pò le abitudini consolidate ed a fornire materiale di pettegolezzo per almeno un paio di coppie di lavoratrici domestiche pakistane che si incontrano in stazione andando al lavoro. Ma il bello doveva ancora venire!
I due parlottavano a bassa voce e malgrado ostentassero indifferenza, mi era parso che fra loro si profilasse qualche nuvolone all’orizzonte, stando ai loro occasionali sguardi indagatori, che scrutavano all’intorno come per accertarsi che nessuno avesse sentito ciò che si dicevano.
Mancavano ormai solo un paio di minuti all’arrivo del treno quando l’annuvolamento si è trasformato prima in forte precipitazione e poi, per finire, in tempesta furibonda. L’uomo ha iniziato a piangere senza ritegno e tra i singhiozzi le chiedeva ripetutamente di non lasciarlo, di non andarsene! Lei dal canto suo, bè, non avevo mai visto la sua espressione da bambina puntigliosa e possibilmente dispettosa rimodellare così marcatamente i tratti del suo viso. Con un’espressione tra lo schifato e il compassionevole, si rivolgeva all’uomo solo per esortarlo a smetterla visto che tutti li guardavano mentre lui non sembrava darsi pace. Anzi ad un certo punto, come avesse trovato al fondo di tutto il suo dolore l’ultimo grammo di rancore di cui era capace, ha iniziato ad insultarla pesantemente apostrofandola con épiteti irripetibili. L’altoparlante annunciava l’arrivo del treno e l’imbarazzo tra noi viaggiatori in attesa cresceva sempre di più per la scena a cui stavamo assistendo. Ad un tratto la diga di apparente indifferenza che lei aveva eretto di fronte alle suppliche prima e agli insulti poi, è crollata miseramente e con grande fragore. Lo scambio tra i due andava sempre più assumendo il carattere di una rissa verbale tanto che qualcuno si era allontanato per avvertire il personale di Cityrail. La giovane donna infatti ha cominciato a urlare, ribattendo colpo su colpo agli insulti che riceveva. Ma alla grossolanità di lui, contrapponeva argomentazioni molto più fini, chirurgiche, volte a rimarcare determinati aspetti caratteriali dell’uomo, ma non meno devastanti se si considera l’effetto che hanno prodotto.
Il treno stava sopraggiungendo e io mi ero già piegato sulle ginocchia per sollevare da terra la valigetta ventiquattrore che uso per portare al lavoro il gamellino di plastica con la pasta al sugo da riscaldare nel microonde o il panino con la mortadella, quando la tragedia è deflagrata improvvisa ed inaspettata, come un grosso petardo esploso a distanza troppo ravvicinata. Abbiamo tutti udito lei urlare senza più ritegno, accuse di scarsa mascolinità e di esasperante edipicità all’indirizzo del suo, apparentemente, ex-amante.
La reazione di lui è stata altrettanto imprevedibile: si è immobilizzato e sul suo viso, tra le lacrime copiose, è comparso un sorriso dolce, come quello di un bimbo che pensa al suo giocattolo preferito e proprio quando ormai il Gordon delle 7,50 era a non più di quindici metri e non poteva più arrestarsi, ha spinto la donna giù dalla banchina.
Ho fatto in tempo a mollare la valigetta ed a coprirmi gli occhi con le mani, ma mi è rimasto nelle orecchie l’urlo di lei e il tonfo sinistro provocato dal suo corpo investito dal locomotore!
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