Fu pubblicata anni fa su http://www.mentelocale.it/ (che vi consiglio di seguire) grazie all'ospitalità dell'amica Laurona "Capa" Guglielmi. Oggi la ripropongo per chi a suo tempo l'avesse "ciccata". Naturalmente..ça va sans dire.. i fatti e i personaggi narrati sono reali. Buona lettura.
Via Gastaldi 15/A
Via Gastaldi 15/A
C'era una volta, a Taggia, una cantina! Un antro poco illuminato e odoroso di muffa che veniva usato per lavorarci: ci facevano delle ceste, per l'esattezza.
Menegò Buccalarga ci tenne bottega per decenni senza però trascurare, occasionalmente, di farci anche bisboccia con gli amici. Quando smise, verso la fine degli anni ‘70, ormai vecchio e vedovo, per la sua minestrina serale ed un po’ di compagnia prese a frequentare il bar Castelin. A proposito di bar, nello stesso periodo, sulla costa a tre chilometri di distanza, imperversava il Tre Alberi! Locale sul mare, spiaggia, terrazza con tavolini ed Abdu, un gran brav'uomo ed un barman impareggiabile.
Cosa c'entra il Tre Alberi con la cantina? Calma, ci arrivo! Il bar, allora, lo gestiva Cecco Mazza, figura storica del panorama libertario sanremese, ed il locale era prevalentemente frequentato dal popolo del Movimento della città dei fiori e in generale, di tutta la provincia.
Un periodo quello, contrassegnato dall'entusiasmo, dalla consapevolezza di essere tanti, di essere forti, di avere un'ideale per cui lottare. Insomma quel bar era diventato un punto alternativo, e a volte controverso, di aggregazione e finì per dare fastidio a qualcuno.
Ci furono delle perquisizioni, si fecero delle indagini, fu messo sù in qualche modo un caso giudiziario che fu ben presto ridimensionato, ma con il quale si era voluto lanciare un segnale chiaro e forte. Qualche tempo dopo infatti, Cecco cedette l'attività. Del resto, l'entusiasmo ormai scemava, l'eroina montava e Craxi era alle porte: quell'attimo era fuggito, quel gruppo si disciolse e si sperse in mille rivoli di disillusione, di tossicodipendenza o in alternativa, di rampantismo social-democratico.
Con il ricavato della cessione del bar, Cecco comprò una casa a Taggia, la stessa nel cui basso, a suo tempo, Menegò aveva intrecciato vimini, e ci andò a vivere con la sua famigliola. Dicevamo di Buccalarga e del bar Castelin dove anche Cecco scendeva per qualche chiacchiera con gli amici e per il gotto del Dolcetto. Insomma i due si conobbero! Ben presto l'ex cestaio prese a narrargli le virtù della sua cantina, finendo ogni volta immancabilmente per offrirgliela ad un prezzo vantaggioso. Alla fine Cecco si convinse e l'acquistò. Ma non ci fece nulla, la lasciò vuota. Cioè proprio vuota no! Per dovere di cronaca dobbiamo ricordare che per un certo periodo di tempo, essa diventò il ricovero delle pecore di Mario, il pastore sardo. Poi fu la volta del leone! Un giorno d'inizio estate a metà degli anni '80, incontro sulla passeggiata a mare Maurizio, un balengo di Brindisi, che teneva al guinzaglio un leoncino. Domanda scontata: - Cosa ci fai con un leoncino ad Arma - gli chiedo ironico.- Eh cosa vuoi, bisogna arrangiarsi. Io vado in giro con la belva ed una polaroid, i bambini fanno i capricci perché vogliono la foto ed io passo all'incasso dalle mammine. Cinquemilalire per un ricordo del bambino col leoncino e la Fortezza sullo sfondo - mi risponde senza tentennare. - Si vabbè ma dove lo tieni un leoncino, sul divano di casa - insisto. - Ma sai - mi dice - ho chiesto in giro e fino a che è piccolo me lo fanno tenere in una cantina a Taggia. Poi in autunno quando la stagione è finita, lo dò a uno zoo-safari in Piemonte - conclude. Una notte del novembre dello stesso anno, quando ormai i versi provenienti dalla cantina di Cecco, quelli del gattone, erano diventati quasi dei ruggiti, i vicini, spaventati e disgustati dal lezzo che ormai perdurava da settimane, protestarono. Il leone, anestetizzato e poi “caricato” su un'Ape Piaggio, fu trasportato in una campagna sulle alture prospicienti il convento dei Domenicani e chiuso in un apposito recinto che un facoltoso floricoltore amante degli animali aveva messo a disposizione. E’ passato a miglior vita nel 2002: il leone1 Il floricoltore non sò…!Ma tornando ai casi nostri…la cantina rimase di nuovo vuota.
Nel 1990 il Comune lanciò un piano per il recupero del centro storico, concedendo facilitazioni a chi nel centro storico avesse aperto un locale pubblico. Cecco, che era proprietario di quella cantina inutilizzata e che da tempo accarezzava l'idea di aprire un bar nei carugi, coinvolse alcuni amici e si decise al grande passo. All'epoca abitavo in una casa il cui portone d'entrata era dirimpetto a quella cantina. Da essa, già durante quel lungo inverno, qualcuno aveva portato via qualche trattorata di letame, detriti e rumenta varia. Poi, all'inizio della primavera ‘91, a cura del maestro Vito da Orsomarso, iniziarono i lavori di restauro vero e proprio che si conclusero con i murales di Lella Calvini, bussanella, ispirati al Visconte Dimezzato.
In ultimo venne un fabbro ed incementò al muro esterno un'insegna, una parola in ferro battuto: Germinal. Un nome che, d'acchito, rievoca i fatti di Parigi del 1871, il romanzo di Zola, i primi esperimenti socialisti in Europa. Per restare in Italia, nel 1990, a Carrara, la ditta di costruzioni Caprice, grazie ad inciuci vari, ottiene l'autorizzazione a ristrutturare il palazzo Politeama, lo storico Germinal sede dell'anarchismo italiano. Al rifiuto di sloggiare dei legittimi occupanti, la polizia interviene in forze ed alla fine fa sgomberare. Cecco aveva partecipato, nella cittadina apuana, ad una manifestazione contro la forzata chiusura dello stabile. Quando si trattò di dare il nome al locale di via Gastaldi, si ricordò di quel palazzo carrarese e trasfondendone idealmente l'atmosfera e lo spirito che lo avevano caratterizzato, chiamò con lo stesso nome l'osteria che andava ad aprire i battenti.
Quattordici anni dopo, l'altro giorno, vado a cliccare su Mentelocale.it e leggo una delle scoppiettanti cronache ponentine di Choukadarian: quella su Giorgio Conte al Germinal. Una tradizione consolidata quella della musica dal vivo nel locale taggiasco: parola di ex dirimpettaio! Leggo con un sorriso ed un pizzico di nostalgia della performance dello chansonnier astigiano, del tocco di femminilità impresso al locale da Roberta ed Enrica che ora lo gestiscono e dei cervellotici ma squisiti exploit dello Squalo dietro ai fornelli, e penso che dopotutto quella del fondo di via Gastaldi è una storia da raccontare.
Dalle ceste di Menegò Buccalarga alle strofe di Giorgio Conte, l'epopea di un seminterrato che fa carriera e diventa prima un'osteria vissuta ed esuberante, poi nel corso degli anni si trasforma architettonicamente e cambia conduzione, acquisendo toni più soft ed indirizzo più spiccatamente gastronomico se vogliamo, ma mantenendo intatto lo spirito iniziale ed il suo ruolo di punto di riferimento per le vecchie e le nuove leve. E' una piccola saga ormai, il cui ultimo capitolo in ordine di tempo ci propone musica con la M maiuscola, i bocconi di saggezza elargiti da Danilo Musso e l'affascinante presenza, stando alle eloquenti descrizioni del cronista, delle due signore che architettano il tutto. Un romanzo la cui trama si sta ancora dipanando e di cui, quando capita, leggiamo molto volentieri una pagina direttamente in loco.
Menegò Buccalarga ci tenne bottega per decenni senza però trascurare, occasionalmente, di farci anche bisboccia con gli amici. Quando smise, verso la fine degli anni ‘70, ormai vecchio e vedovo, per la sua minestrina serale ed un po’ di compagnia prese a frequentare il bar Castelin. A proposito di bar, nello stesso periodo, sulla costa a tre chilometri di distanza, imperversava il Tre Alberi! Locale sul mare, spiaggia, terrazza con tavolini ed Abdu, un gran brav'uomo ed un barman impareggiabile.
Cosa c'entra il Tre Alberi con la cantina? Calma, ci arrivo! Il bar, allora, lo gestiva Cecco Mazza, figura storica del panorama libertario sanremese, ed il locale era prevalentemente frequentato dal popolo del Movimento della città dei fiori e in generale, di tutta la provincia.
Un periodo quello, contrassegnato dall'entusiasmo, dalla consapevolezza di essere tanti, di essere forti, di avere un'ideale per cui lottare. Insomma quel bar era diventato un punto alternativo, e a volte controverso, di aggregazione e finì per dare fastidio a qualcuno.
Ci furono delle perquisizioni, si fecero delle indagini, fu messo sù in qualche modo un caso giudiziario che fu ben presto ridimensionato, ma con il quale si era voluto lanciare un segnale chiaro e forte. Qualche tempo dopo infatti, Cecco cedette l'attività. Del resto, l'entusiasmo ormai scemava, l'eroina montava e Craxi era alle porte: quell'attimo era fuggito, quel gruppo si disciolse e si sperse in mille rivoli di disillusione, di tossicodipendenza o in alternativa, di rampantismo social-democratico.
Con il ricavato della cessione del bar, Cecco comprò una casa a Taggia, la stessa nel cui basso, a suo tempo, Menegò aveva intrecciato vimini, e ci andò a vivere con la sua famigliola. Dicevamo di Buccalarga e del bar Castelin dove anche Cecco scendeva per qualche chiacchiera con gli amici e per il gotto del Dolcetto. Insomma i due si conobbero! Ben presto l'ex cestaio prese a narrargli le virtù della sua cantina, finendo ogni volta immancabilmente per offrirgliela ad un prezzo vantaggioso. Alla fine Cecco si convinse e l'acquistò. Ma non ci fece nulla, la lasciò vuota. Cioè proprio vuota no! Per dovere di cronaca dobbiamo ricordare che per un certo periodo di tempo, essa diventò il ricovero delle pecore di Mario, il pastore sardo. Poi fu la volta del leone! Un giorno d'inizio estate a metà degli anni '80, incontro sulla passeggiata a mare Maurizio, un balengo di Brindisi, che teneva al guinzaglio un leoncino. Domanda scontata: - Cosa ci fai con un leoncino ad Arma - gli chiedo ironico.- Eh cosa vuoi, bisogna arrangiarsi. Io vado in giro con la belva ed una polaroid, i bambini fanno i capricci perché vogliono la foto ed io passo all'incasso dalle mammine. Cinquemilalire per un ricordo del bambino col leoncino e la Fortezza sullo sfondo - mi risponde senza tentennare. - Si vabbè ma dove lo tieni un leoncino, sul divano di casa - insisto. - Ma sai - mi dice - ho chiesto in giro e fino a che è piccolo me lo fanno tenere in una cantina a Taggia. Poi in autunno quando la stagione è finita, lo dò a uno zoo-safari in Piemonte - conclude. Una notte del novembre dello stesso anno, quando ormai i versi provenienti dalla cantina di Cecco, quelli del gattone, erano diventati quasi dei ruggiti, i vicini, spaventati e disgustati dal lezzo che ormai perdurava da settimane, protestarono. Il leone, anestetizzato e poi “caricato” su un'Ape Piaggio, fu trasportato in una campagna sulle alture prospicienti il convento dei Domenicani e chiuso in un apposito recinto che un facoltoso floricoltore amante degli animali aveva messo a disposizione. E’ passato a miglior vita nel 2002: il leone1 Il floricoltore non sò…!Ma tornando ai casi nostri…la cantina rimase di nuovo vuota.
Nel 1990 il Comune lanciò un piano per il recupero del centro storico, concedendo facilitazioni a chi nel centro storico avesse aperto un locale pubblico. Cecco, che era proprietario di quella cantina inutilizzata e che da tempo accarezzava l'idea di aprire un bar nei carugi, coinvolse alcuni amici e si decise al grande passo. All'epoca abitavo in una casa il cui portone d'entrata era dirimpetto a quella cantina. Da essa, già durante quel lungo inverno, qualcuno aveva portato via qualche trattorata di letame, detriti e rumenta varia. Poi, all'inizio della primavera ‘91, a cura del maestro Vito da Orsomarso, iniziarono i lavori di restauro vero e proprio che si conclusero con i murales di Lella Calvini, bussanella, ispirati al Visconte Dimezzato.
In ultimo venne un fabbro ed incementò al muro esterno un'insegna, una parola in ferro battuto: Germinal. Un nome che, d'acchito, rievoca i fatti di Parigi del 1871, il romanzo di Zola, i primi esperimenti socialisti in Europa. Per restare in Italia, nel 1990, a Carrara, la ditta di costruzioni Caprice, grazie ad inciuci vari, ottiene l'autorizzazione a ristrutturare il palazzo Politeama, lo storico Germinal sede dell'anarchismo italiano. Al rifiuto di sloggiare dei legittimi occupanti, la polizia interviene in forze ed alla fine fa sgomberare. Cecco aveva partecipato, nella cittadina apuana, ad una manifestazione contro la forzata chiusura dello stabile. Quando si trattò di dare il nome al locale di via Gastaldi, si ricordò di quel palazzo carrarese e trasfondendone idealmente l'atmosfera e lo spirito che lo avevano caratterizzato, chiamò con lo stesso nome l'osteria che andava ad aprire i battenti.
Quattordici anni dopo, l'altro giorno, vado a cliccare su Mentelocale.it e leggo una delle scoppiettanti cronache ponentine di Choukadarian: quella su Giorgio Conte al Germinal. Una tradizione consolidata quella della musica dal vivo nel locale taggiasco: parola di ex dirimpettaio! Leggo con un sorriso ed un pizzico di nostalgia della performance dello chansonnier astigiano, del tocco di femminilità impresso al locale da Roberta ed Enrica che ora lo gestiscono e dei cervellotici ma squisiti exploit dello Squalo dietro ai fornelli, e penso che dopotutto quella del fondo di via Gastaldi è una storia da raccontare.
Dalle ceste di Menegò Buccalarga alle strofe di Giorgio Conte, l'epopea di un seminterrato che fa carriera e diventa prima un'osteria vissuta ed esuberante, poi nel corso degli anni si trasforma architettonicamente e cambia conduzione, acquisendo toni più soft ed indirizzo più spiccatamente gastronomico se vogliamo, ma mantenendo intatto lo spirito iniziale ed il suo ruolo di punto di riferimento per le vecchie e le nuove leve. E' una piccola saga ormai, il cui ultimo capitolo in ordine di tempo ci propone musica con la M maiuscola, i bocconi di saggezza elargiti da Danilo Musso e l'affascinante presenza, stando alle eloquenti descrizioni del cronista, delle due signore che architettano il tutto. Un romanzo la cui trama si sta ancora dipanando e di cui, quando capita, leggiamo molto volentieri una pagina direttamente in loco.
messa così, quella cui siamo passati accanto o traverso sembra proprio Storia, e bella...
ReplyDeletebravo danilo, e complimeti
Mi ricordo del leoncino grazie a una foto scattata da non so chi dove ci sono io in braccio a mia madre mentre lui mi porge la zampa; se non erro si trattava di una leonessa: l'ho rivista dieci anni dopo, adulta, nella gabbia in questione, se non che si trattasse di una gabbia assai ridotta per un animale di quelle dimensioni. Mi spiace riscontrare che non abbia avuto l'occasione di ottenere la libertà che meritava, perlomeno vigilata nello spazio di uno zoo-safari. Ripensando a questo particolare passo del tuo racconto, mi verrebbe voglia di immaginare questo famigerato Maurizio preda delle fauci del suo stesso felino.
ReplyDeleteQuasi due mesi fa ho conosciuto personalmente Giorgio Conte e l'ho trovato essere una persona cordiale, nobile dai modi semplici e diretti.
Grazie per aver condiviso queste memorie di cui avevo soltanto sentito pochi ed effimeri accenni nelle conversazioni dei miei genitori.
David.