E si! Non era come le altre volte, che ne uscivo distrutto, con la mente confusa e il cuore a brandelli. E con un’acrimonia verso il genere femminile che si sarebbe trascinata per un tempo indefinito. No! Stavolta c’era una sorta di consapevolezza, un riuscire a guardarsi – e a guardare l’accaduto - dal di fuori. Cosa questa che rendeva il tutto meno problematico e, come dire, più ammorbidito, dai colori più soffusi, dove trovavo una spiegazione un po’ a tutto l’accaduto. Dove riuscivo abbastanza agevolmente a dare una sequenza cronologica ed emozionale agli avvenimenti, guadagnandone in lucidità e potendo quindi cogliere la connessione tra le varie cause ed i vari effetti.
Per prima cosa non potei non darmi del fesso per essermi indebolito fino al punto di perdere la mia centratura, fino al punto di aver nuovamente fatto finta di non sapere quanto dannoso sarebbe stato risalire sull’ottovolante delle emozioni, su e giù a seconda degli stati d’animo altrui. E questo, ça va sans dire, mi creava un senso di colpa verso me stesso, un rimprovero, una tale e sottile ma così acuta sensazione di biasimo che decisi che era meglio bere per accentuarla e una volta amplificata a dovere, e anestetizzata, sezionarla chirurgicamente, capirla a fondo e definitivamente. Ché chi sa dell’arte del bere, sa bene cosa intendo: non si tratta di obnubilarsi ma anzi di rendere spietatamente lucide le proprie riflessioni.
E in effetti bevvi!
Me ne andai in quel baretto sul belvedere Sirio, mi sedetti sulla terrazza panoramica e ordinai un bel Cabernet Sauvignon. La scelta di tal vino mi riportò alla mente un’amica di tempi andati, non sospetti, che me ne aveva regalato un paio di bottiglie raccomandandosi di stapparle solo in sua presenza. Lei si era fatta viva più di una volta chiedendomi se non fosse il caso di assaggiare quel 2006 della Barossa Valley, Australia, ma io, preso dai miei risoluti propositi di restare fedele alla mia amante virtuale o, per meglio dire, galattica, avevo sempre declinato i suoi inviti. Le sue “chiamate” telepatiche si erano così diradate e infine erano cessate del tutto, l’amante galattica era fuggita con un rappresentante di propellente atomico ed io, a quel punto, mi ero sentito autorizzato a stappare le bottiglie e gustarne il contenuto.
E reiteravo il rituale anche quella sera stellata – ah ah ah....buona questa – su quella splendida terrazza dalla vista imprendibile!
Ero dunque lì che sorseggiavo con calma quel nettare terrestre – ero ormai alla fine della prima bottiglia - quando la vidi avvicinarsi. Procedeva a grande velocità col suo incedere spiraleggiante verso il bar, emettendo lingue di energia dovute alle continue esplosioni che i suoi poderosi ammassi gassosi provocavano.
I suoi cerchi concentrici assumevano via via colorazioni che potevano variare dal blu cobalto striato di turchese fino ad un tenue verde acquamarina, da un acceso rosso porpora fino a spegnersi in un soffice rosa puntellato di macchie color terra di Siena bruciata.
Quando fu giunta a circa due anni luce da noi, il barista, un asteroide proveniente dalla costellazione di Andromeda che per amore aveva deviato la sua traiettoria originale ed era poi stato abbandonato dall’amata al suo destino, le ingiunse di fermarsi:
- Non vorrai mica farci precipitare tutti nella tua forza di gravità – le chiese con un certo disappunto.
- Dimmi cosa bevi: ci penserò io a farti servire al tavolo – le intimò con fare deciso.
La bella galassia impiegò qualche migliaio di anni per fermarsi e quando, pur continuando ad emettere sbuffi di gas coloratissimo, finalmente si arrestò, ordinò con voce una femminile rauca, terribilmente sexy, un gintonic.
Naturalmente, e malgrado la finalità terapeutica che volevo dare alla mia bevuta, non intendevo in nessun modo non godere dell’aspetto, come dire, ludico che sapevo che quello che stava accadendo mi avrebbe procurato. E per far ciò mi accomodai meglio sullo sgabello e affinai la mia attenzione.
L’asteroide, un certo Ciro, presa un’aria senza dubbio professionale, mise nel bicchiere tre cubetti di ghiaccio e versò poi un’abbondante dose di gin. Quindi si chinò e presa dal frigo la bottiglia dell’acqua tonica ne versò a sufficienza ad allungare lo spirito.
Io, nel frattempo, mi feci portare un paio di piatti da gustare mentre sorso dopo sorso, degustavo l’eccellente rosso australiano: una focaccina alle erbe, un insalatina di rucola nostrana e delle scaloppine di vitello ben condite da una salsa al marsala e curry.
Ma ciò malgrado, ero consapevole che il vino mi avrebbe predisposto ad una insolenza che in quanto tale e con un minimo di esercizio psicomotorio, mi avrebbe sicuramente spinto, con una certa strafottenza, a corteggiare quella meravigliosa creatura galattica apparsa all’improvviso ed inaspettatamente.
Gli sguardi insistenti che la galassia mi rivolgeva fecero, per così dire, precipitare gli eventi. L’approccio fu dei più classici:
- Sei di questi paraggi – le chiedo tronfio.
- No, veramente... – mi risponde con una certa titubanza
- Vabbè va – dico io – soprassediamo. Come ti chiami? Io sono Ampelio.
- Ciao Ampelio, piacere. Io mi chiamo CB 38 Bartlett. Come mai da ste parti?
- Mi piaci e sarò sincero con te: una tipa, una certa Sonia, una stringa di neurone molto attraente ma altrettanto stronza, dopo mille promesse d’amore mi ha mollato per fuggire con un fotone. Sono qui per bere e dimenticare. E tu? O cribbio, scusami, gradisci una scaloppina?
- No grazie. Sei molto gentile ma ho un crampo allo stomaco. Io? Una storia simile: un sole, una piccolo astro secondario, senza importanza ma che a me piaceva un sacco. Un mucchio di promesse e poi un giorno passa una stellina d’avanspettacolo, gli fa due moine e lui...via! Mai più visto da allora!!
Insomma ora non vorrei tediarvi ma è andata che a un certo punto.....
- continua
Danilo Sidari - 2011
carino il racconto!!!
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