Tuesday, November 22, 2011

Una stazioncina in montagna


Ho salutato tua sorella baciandola teneramente ed ho guardato la sua auto allontanarsi nella lieve bruma del mattino.
Rimasto solo, ho lasciato riaffiorare tutta la stanchezza accumulata in una notte in cui, per lei, ho cercato la formula alchemica che permettesse al desiderio di sconfiggere la tristezza.
Palliativi temporanei!
È tornata a galla prepotentemente, la mestizia, immemore della sua temporanea sconfitta e per questo ancor più baldanzosa.
È successo quando in cima alla scalinata che portava al binario dove avrei preso il mio treno, ho notato uno di quei grossi orologi analogici con i numeri dall’uno al docici così ben in vista. Una di quelle vecchie patacche in stile vittoriano le cui lancette vengono azionate manualmente dal capostazione che via via le posiziona sull’orario del prossimo treno in partenza.
Ecco, in quel momento, mentre osservavo l’orologio, ho pensato che probabilmente si trovava lì da decenni.
Ed improvvisamente ti ho rivisto bambino, con la cartella dei libri a tracolla, correre e schiamazzare e ridere in compagnia delle tue sorelle e di tuo fratello e dei tuoi amichetti, come tutti i bambini fanno da sempre.
Ho quasi sorriso rivedendo la tua figura, la tua faccia scanzonata – che visualizzavo grazie ad una fotografia incorniciata che ho visto sulla credenza della sala da pranzo dei tuoi genitori. Poi improvvisamente quel viso birichino è stato spazzato via violentemente dall’immagine del tuo viso sofferente, dal tuo corpo smagrito in quel letto di ospedale.
In quel letto di ospedale attorno al quale ci accogli con pazienza, lottando contro l’effetto soporifero che la morfina ti procura e contro la consapevolezza che il tuo tempo volge al termine.
Allora ho pianto, cioè ero immobile, le spalle non erano scosse da singhiozzi e non gemevo.
No: ho pianto in silenzio, osservando un punto qualsiasi della stazioncina dove nessuno dei passeggeri si era fermato ad aspettare il treno e quindi non poteva notarmi.
Si, Frae, ho pianto di nascosto.
Per pudore verso gli estranei, certo, ma anche per la consapevolezza che di fronte alla tempesta che si sta abbattendo su di te, il mio dolore, la mia angoscia, il mio pianto, avevano un retrogusto irrispettoso nei tuoi confronti.
Ho pianto, Frae, per la tua condizione.
Frae? È una parola del mio dialetto ligure paragonabile a quello che i miei figli, coetanei delle tue figlie, definiscono con uno slang anglofono abbreviativo di brother: Bro!
Si Bro, si Frae: ho pianto per la tua condizione!
Ma ho pianto anche per egoismo, ho pianto pensando a quanto sarebbe stato bello per me, che amo tua sorella, invecchiare con te come fratello!
Frae....Bro!


Danilo Sidari - Ottobre 2011

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